Mons. Ravasi a Salamanca: dimenticare il cristianesimo è cancellare tutta la nostra
cultura
Il cristianesimo come “grande codice” ideale dell’Europa: questo il tema centrale
della relazione di mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontifico Consiglio della
Cultura e della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa. Il presule
è intervenuto presso la Pontificia Università di Salamanca, in occasione del convegno
intitolato “Il patrimonio culturale della Chiesa. La bellezza al servizio dell’evangelizzazione
e della cultura”. Il servizio di Isabella Piro:
“La
lingua materna dell’Europa è il cristianesimo”: lo diceva Goethe e mons. Ravasi lo
ricorda, ribadendo poi che la religione cristiana, “con la sua celebrazione della
persona e della dignità umana”, con “l’ora et labora” del monachesimo, con “la riflessione
del Medio Evo e con “la cultura gloriosa dell’Umanesimo e del Rinascimento”, costituiva
“il grande codice ideale dell’Europa”. Certo, continua mons. Ravasi, oggi il Vecchio
Continente ha una sua “sfera politica, economica, laica” con una propria dignità ed
una propria autonomia “emblematicamente rappresentata da un parlamento comune e da
una moneta, l’euro”. Tuttavia, ribadisce il presule, “c’è un’altra sfera che è distinta
ma non antitetica ed è quella della persona umana, della cultura, della spiritualità
ove si configura “l’immagine” non di Cesare, ma di Dio”. Di qui, l’attenzione posta
dal presidente del Pontificio Consiglio della Cultura affinché “l’Europa di Cesare
e l’Europa di Dio, cioè immanenza e trascendenza, politica e religione, economia e
cultura” si intreccino tra loro, “senza reciprocamente prevaricare”.
E
a questo proposito, mons. Ravasi lancia un triplice appello per impedire “la dissoluzione
della nostra specificità, della nostra autenticità, della nostra identità gloriosa”.
In primo luogo, il presule ricorda che “è innanzitutto necessario lottare contro la
smemoratezza nei confronti delle proprie radici, dei valori costitutivi, dell’identità
genuina dell’Europa”, perché “c’è il rischio che l’Europa si riduca proprio a scorza,
a tronco arido, avendo disseccato la linfa delle sue radici profonde cristiane, votata
solo alla “virtualità”. Il secondo appello proposto da mons. Ravasi è quello contro
“la superficialità, la banalità, la vacuità, la volgarità, la bruttezza”, affinché
si torni “all’etica e alla bellezza”, stelle fisse – le definisce il presule – del
cielo della civiltà europea, sullo stimolo del messaggio cristiano. Per questo, continua,
“è necessario un sussulto di moralità, un supplemento di anima”, perché “manca una
voce che ci indichi la rotta, il senso della vita, che ci interpelli sul bene e sul
male, sul giusto e sull’ingiusto, sul vero e sul falso, sull’esistere e sul morire”.
Infine,
il terzo appello di mons. Ravasi è quello della lotta agli “estremismi, agli eccessi,
alla spirale delle pure antitesi”, perché se da un lato si rischia “un sincretismo
che diventa relativismo incolore e che spegne e dissolve la nostra identità specifica”,
dall’altro si corre il rischio di “precipitare lungo il versante di un fondamentalismo
che diventa esclusivismo acceso e che cancella ogni rispetto e ignora ogni valore
altrui”. Per evitare, allora, questa “sorta di foga iconoclastica, feroce e impaurita
al tempo stesso, nei confronti di tutto ciò che è diverso”, mons. Ravasi ribadisce
che “è indispensabile ritrovare la grande tradizione del dialogo, del confronto tra
le culture e le religioni, nello spirito del cristianesimo genuino”. Perché, conclude
il presule, citando il poeta americano Thomas Stearns Eliot, “se il cristianesimo
se ne va, se ne va tutta la nostra cultura, se ne va tutto il nostro stesso volto”.