Guatemala: messaggio per la Giornata dell’Emigrante
“Madre terra, vita dei Paesi” è il titolo del messaggio scritto da mons. Álvaro Ramazzini,
vescovo di San Marcos e presidente della Pastorale della Mobilità Umana della Conferenza
Episcopale del Guatemala, per la celebrazione della Giornata Nazionale dell’Emigrante
che la Chiesa del Guatemala celebra domenica prossima. “In questo anno - si legge
nel messaggio ripreso dall'agenzia Fides - vogliamo richiamare l’attenzione, nazionale
ed internazionale, sul dramma vissuto dalla popolazione migrante riguardante il fenomeno
disumano delle deportazioni e segnalare, nel contesto guatemalteco, l’intima relazione
esistente tra l’ingiusta distribuzione dei beni della terra e l’aumento della povertà,
causa fondamentale delle migrazioni forzate”. Secondo mons. Ramazzini, “i flussi di
immigrati dai Paesi poveri verso i Paesi ricchi sono attualmente determinati da fattori
di indole economica”. Infatti, “l’aumento della povertà, la mancanza di opportunità
e il mancato avvio di processi di sviluppo integrale e sostenibile, sono causa ed
effetto del divario sempre crescente tra i Paesi ricchi ed i Paesi poveri, e tra i
settori ricchi e quelli impoveriti di ciascun Paese”. Questa divisione è frutto della
globalizzazione, dove “la dinamica del mercato assolutizza con facilità l’efficacia
e la produttività come valori regolatori di tutte le relazioni umane”; questo fenomeno
promuove dunque “ineguaglianza ed ingiustizie molteplici”. Secondo il vescovo, “i
problemi sorti da una situazione di ingiustizia strutturale che colpisce con sempre
maggiore forza i poveri, devono essere risolti con criteri etici”. Vi è inoltre il
problema delle detenzioni e delle deportazioni irregolari in Messico e negli Stati
Uniti, fenomeno che “comporta sempre il rischio di colpire i diritti umani”. Una dimostrazione
di ciò è la violenza che soffrono gli immigrati quando devono attraversare i Paesi
di transito nelle zone di confine, dove sono frequenti “i crimini legati alla tratta
delle persone, attraverso lo sfruttamento sessuale, la prostituzione, il lavoro forzato,
la schiavitú e pratiche analoghe come la servitù”. Inoltre non è diminuita l’immigrazione
clandestina “ma si è spostata verso nuove rotte, usando vie più pericolose per via
delle politiche e delle leggi sull’immigrazione sempre più restrittive”. Per questo
“la vulnerabilità degli immigrati si acutizza, aumenta il numero di morti, la maggiore
dipendenza dai trafficanti ed un maggiore costo per giungere a destinazione”. “Come
discepoli di Gesù Cristo non dobbiamo né possiamo lasciar passare inosservati il dolore
ingiusto e l’esclusione che soffrono quotidianamente i nostri fratelli e sorelle emigranti.
Restare indifferenti di fronte alle detenzioni ingiustificate, alle morti, alle deportazioni
di massa, alle violazioni dei diritti umani, alla povertà crescente - conclude il
presule - significa rendersi complici”. (R.P.)