Conferenza di Accra: le Chiese cristiane africane chiedono maggiori interventi per
i poveri
Una riforma degli aiuti allo sviluppo che non affronti la questione centrale del suo
reale impatto sui poveri non potrà risolvere lo scandalo della povertà nel mondo.
È il monito lanciato dalle Chiese cristiane africane e dalle ong religiose, alla vigilia
del Terzo Forum di alto livello promosso dall’Unione Europea sull'efficacia degli
aiuti, che ha preso il via ieri ad Accra, in Ghana. La conferenza, cui partecipano
800 rappresentanti di Paesi donatori e di Paesi beneficiari e delle organizzazioni
della società civile, dovrà fare il punto dell’attuazione della “Dichiarazione di
Parigi” sull’efficacia dell’aiuto allo sviluppo come strategia di contrasto alla povertà.
In particolare nel corso della conferenza, che si concluderà giovedì, verrà adottata
la “Accra Agenda for Action", un documento che dovrebbe tracciare il percorso per
l’applicazione dei principi adottati alla Conferenza di Parigi del 2005. Le Chiese
cristiane del Continente interverranno partecipando ad un forum parallelo della società
civile. In una dichiarazione congiunta, la Caritas Internationalis, il SECAM, il Simposio
delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar, la Conferenza panafricana
delle Chiese (AACC), la Cooperazione internazionale per lo sviluppo e la solidarietà
e l’Azione delle Chiese insieme per lo sviluppo rilevano come gli interessi reali
dei poveri non siano stati presi in considerazione nelle bozze dei documenti che saranno
presentati al Forum. “La conferenza di Accra può aiutare a porre fine allo scandalo
della povertà, ma solo a condizione che aiuti i poveri a diventare artefici del proprio
sviluppo”, ha dichiarato il reverendo Mvuve Dandala, Segretario generale della AACC.
Secondo René Grotenhuis, che rappresenta la Caritas, finora è stata data più attenzione
alla quantità che alla qualità degli aiuti e la “Dichiarazione di Parigi” ignora il
tema dello sviluppo sostenibile. Ancora più netto il giudizio di Gweneth Berge, dell’Azione
delle Chiese insieme per lo sviluppo, che lamenta lo scarso coinvolgimento delle comunità
direttamente interessate e denuncia come gli aiuti siano gestiti dai Paesi ricchi
solo in funzione dei propri interessi economici, anziché di quello dei poveri. Secondo
mons. Francisco Silota, che rappresenta il SECAM, è necessario coinvolgere di più
le Chiese e le Ong religiose nella gestione degli aiuti, essendo esse le principali
fornitrici di servizi sanitari, educativi e assistenziali nei Paesi in via di sviluppo.
(L.Z.)