Benedetto XVI all'udienza generale: come per San Paolo a Damasco, la conversione è
frutto di un incontro personale con Cristo. Il Vangelo non è filosofia nè un elenco
di norme morali
Ci si converte a Cristo e non a “teorie filosofiche” né a “codici morali”, esattamente
come San Paolo si convertì per aver incontrato personalmente Gesù, maturando quindi
l’idea di servirlo e annunciarlo con ogni sua energia. E’ l’insegnamento che Benedetto
XVI ha posto a conclusione dell’udienza generale di questa mattina, in Aula Paolo
VI, tenuta davanti a circa 8 mila persone. Il servizio di Alessandro De Carolis:
C’è una porta
di Damasco per ogni cristiano che sia realmente tale e cioè che abbia fatto esperienza
diretta e personale dell’amore di Dio per sé al punto da orientare a questo amore
tutta la propria vita. Fu così per Paolo di Tarso, nemico giurato dei primi seguaci
di Gesù e poi egli stesso seguace e straordinario annunciatore delle sue parole. Benedetto
XVI è stato chiaro: la conversione di San Paolo non fu tanto una questione di luci
accecanti e di cadute da cavallo, quanto piuttosto di un’accecante rivelazione interiore,
un incontro intimo con Cristo forte al punto da modificare radicalmente e senza ripensamenti
il corso della sua esistenza. E in effetti, in questa nuova e annunciata catechesi
dedicata alla conversione di San Paolo, il Papa si è soffermato a lungo su come essa
vada correttamente intesa, al di là di quei, come li ha definiti, “dettagli pittoreschi”
- “la luce dal cielo, la caduta a terra, una voce che chiama”, riportati dall’evangelista
Luca negli Atti degli Apostoli:
“San Paolo, quindi,
è stato trasformato non da un pensiero ma da un evento, dalla presenza irresistibile
del Risorto, della quale mai potrà in seguito dubitare tanto era stata forte l’evidenza
dell’evento, di questo incontro. Esso cambiò fondamentalmente la vita di Paolo; in
questo senso si può e si deve parlare di una conversione”. Il
Papa ha distinto queste prime fonti da un secondo tipo, riconosciuto invece come “più
autentico”, ovvero le stesse Lettere di San Paolo. In esse, l’Apostolo fa più volte
cenno alla sua eccezionale esperienza. Ma, sottolinea Benedetto XVI, lo fa in modo
sobrio, senza dettagli. Per San Paolo, ha affermato il Papa, quello che più importa
è dimostrare che con l’evento di Damasco anch’egli è stato “testimone della Risurrezione
di Gesù” e che, al pari degli altri Apostoli, anch’egli ha ricevuto da Gesù “la rivelazione
e la missione” di annunciare il Vangelo “ai pagani del mondo greco-romano”. Altro
dato importante, poi, è che San Paolo non usa mai il termine “conversione”. Il perché
il Papa lo ha spiegato così:
“Ci sono tante ipotesi,
ma per me il motivo è molto evidente. Questa svolta della sua vita, questa trasformazione
di tutto il suo essere non fu frutto di un processo psicologico, di una maturazione
o evoluzione intellettuale e morale, ma venne dall’esterno: non fu il frutto del suo
pensiero, ma dell’incontro con Cristo Gesù. In questo senso non fu semplicemente una
conversione, una maturazione del suo 'io', ma fu morte e risurrezione per lui stesso:
morì una sua esistenza e un’altra nuova ne nacque con il Cristo Risorto”. L’eccezionalità
dell’esperienza di San Paolo non è confinata a lui e a quell’episodio avvenuto attorno
all’anno 30 dopo Cristo. Essa, ha osservato Benedetto XVI, dice qualcosa di molto
importante anche ai cristiani contemporanei:
“Vuol
dire che anche per noi il cristianesimo non è una nuova filosofia o una nuova morale.
Cristiani siamo soltanto se incontriamo Cristo (...) Anche noi possiamo incontrare
Cristo, nella lettura della Sacra Scrittura, nella preghiera, nella vita liturgica
della Chiesa. Possiamo toccare il cuore di Cristo e sentire che Egli tocca il nostro.
Solo in questa relazione personale con Cristo, solo in questo incontro con il Risorto
diventiamo realmente cristiani (...) Quindi preghiamo il Signore perché ci illumini,
perché ci doni nel nostro mondo l'incontro con la sua presenza: e così ci dia una
fede vivace, un cuore aperto, una grande carità per tutti, capace di rinnovare il
mondo”. Dopo le brevi catechesi
in altre lingue, Benedetto XVI ha terminato l’udienza generale salutando, fra gli
altri, i religiosi e le religiose, figli spirituali di don Orione - che, ha detto,
“ricordano quest’anno significative ricorrenze giubilari” - e i Missionari del Pontificio
Istituto Missioni Estere.