Alla Cittadella di Assisi la Settimana nazionale di formazione e spiritualità
Guardare alle prime comunità cristiane e alla figura di San Paolo, primo evangelizzatore
d’Europa, per riscoprire il senso dell’impegno missionario: è stato questo l’obiettivo
della VI Settimana nazionale di formazione e spiritualità promossa dalla CEI presso
la Cittadella di Assisi. Il convegno, che si concluderà domani, è rivolto agli operatori
pastorali dei Centri missionari e ai giovani. Ma quali sono le attuali sfide dell’evangelizzazione
e qual è l’eredità lasciata dall’apostolo? Elena Mandarano lo ha chiesto a
don Gianni Cesana, direttore dell’Ufficio Nazionale della CEI per la cooperazione
missionaria tra le Chiese:
R. - Direi
la sfida di una certa modernità nei suoi tempi: nell’impero che si espandeva, l’annuncio
cristiano s’inseriva come un elemento di opposizione. Pensiamo a tutto quello che
S. Paolo ha detto sulla famiglia, sugli schiavi e così via. Credo che la sua opera
sia stata quella di creare comunità che sapessero integrare nuove persone, in forza
dell’annuncio del Vangelo.
D. - Che differenza c’è
tra le prime evangelizzazioni e quelle odierne? E cosa dello spirito di San Paolo
è vivo oggi?
R. - La capacità di dire la novità del
Vangelo attraverso i linguaggi della gente che lui ha conosciuto. Mi pare che questo
sia un elemento di continuità certamente molto forte. Quello che forse è in discontinuità
con Paolo è che oggi l’universalità comporta anche il confronto con le grandi e antiche
religioni dell’Oriente, il confronto con le situazioni sociali estreme, che certamente
esistevano anche al tempo, ma delle quali non si aveva quella coscienza che noi oggi
abbiamo.
D. - Anche oggi, come dimostra la cronaca,
evangelizzare è difficile. Quali sono le difficoltà?
R.
- Mi pare che la prima difficoltà, più che dai grandi sistemi estranei al cristianesimo,
provenga proprio da un certo deperimento del mondo occidentale e delle sue motivazioni.
Assistiamo ogni giorno ad eventi, avvenimenti, a scelte che vanno a svuotare dall’interno
queste radici cristiane. Pensiamo al tema della vita, al tema della legalità, dell’accoglienza
del diverso, delle emigrazioni. Pensiamo al tema di una globalizzazione che non è
solo relazione universale, ma che è molto spesso oppressione. L’altro aspetto è quello
di comprendere e far comprendere anche alle altre religioni qual sia la funzione della
religione in quanto tale. Mi pare che il Papa lo dica molto bene a più riprese, seguendo
anche l’insegnamento del suo predecessore. La religione non può mai essere un fattore
di divisione, deve essere sempre un fattore di unità, di difesa dei diritti dell’uomo
e della pace. E il cristianesimo sotto questo profilo, annunciando l’incarnazione
di Gesù, è una religione che certamente parla di Dio, ma di Dio in forma umana. E
quindi è la difesa dell’uomo, dei suoi diritti e della sua vita.