L'integrazione delle popolazioni nomadi attraverso la formazione dei giovani zingari
al centro del sesto Congresso mondiale che si apre domani a Frisinga. Intervista con
mons. Marchetto
“I giovani zingari nella Chiesa e nella società”. Si intitola così il VI Congresso
mondiale della Pastorale per gli zingari, che inizierà domani a Freising, in Germania,
e si concluderà il prossimo 4 settembre. Promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale
per i migranti e gli itineranti, in collaborazione con la Conferenza episcopale tedesca,
il Congresso centra quest’anno il dibattito sulla formazione delle giovani generazioni
nomadi da parte dei Paesi d’accoglienza: formazione che potrebbe facilitare l’integrazione
del resto delle comunità zingare, che in tutto il mondo arrivano a un totale di 36
milioni di persone. Ad introdurre i lavori sarà il segretario del dicastero pontificio,
l’arcivescovo Agostino Marchetto. Fabio Colagrande lo ha intervistato:
R. - Purtroppo,
i giovani zingari sono di solito maggiormente soggetti alle situazioni di svantaggio
e di discriminazione rispetto ai loro coetanei gağé (non-Zingari). Quindi,
con questo Congresso desideriamo considerare le loro le necessità spirituali e materiali,
denunciare e sanare le situazioni di svantaggio che oggettivamente gravano su di loro,
e, inoltre, individuare modi più adeguati con i quali sostenere la loro formazione
umana, professionale e religiosa. In più, offriremo loro occasione per esprimere le
proprie attese e necessità per favorire un’autentica integrazione - che non è assimilazione
- e una maggiore partecipazione nei progetti e nelle decisioni e attività che li riguardano. D.
- Dal primo Congresso, celebratosi nel ’64, con il sostegno e l’incoraggiamento
di Papa Paolo VI, quanto e come è cresciuta la preparazione degli operatori pastorali
in questo settore? R. - In quell’incontro, il Papa esortò i
Vescovi e i Congressisti a un maggior impegno per raggiungere più efficacemente il
mondo tanto diverso degli Zingari. Posso dire, con soddisfazione, che il numero degli
operatori pastorali a loro favore è cresciuto notevolmente nel mondo. Oggi, in quasi
tutti i Paesi europei esiste una struttura pastorale specifica (al congresso di Freising
saranno rappresentate 25 Conferenze Episcopali). Per quanto riguarda la loro formazione,
il Pontificio Consiglio organizza regolarmente i Congressi Mondiali, le giornate di
studio e di riflessione, mentre le Chiese locali promuovono incontri nazionali, ritiri
spirituali, pellegrinaggi. L’anno scorso, poi, il nostro Dicastero ha convocato il
primo Incontro mondiale di sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose di origine zingara,
al quale hanno risposto in una quarantina. Per favorire una migliore pastorale specifica,
il Pontificio Consiglio ha pubblicato, l’8 dicembre 2005, gli Orientamenti per una
Pastorale degli Zingari, il primo documento della Chiesa, nella sua dimensione universale,
dedicato alla popolazione zingara e ai nomadi in generale. D.
-Negli “Orientamenti” affermavate che per la Chiesa l’accoglienza degli
zingari rappresentava una sfida. E’ una sfida che oggi vi sentite di poter vincere? R.
- Personalmente, credo che la Chiesa sia in grado di vincere tale sfida. E questo
grazie, in gran parte, alle persone che sono impegnate nella pastorale degli Zingari,
ma soprattutto grazie agli Zingari consacrati. Forse non è a tutti noto che sono ormai
un centinaio i sacerdoti, dfiaconi, religiosi e suore di origine zingara. Un ragguardevole
numero ne conta l’India - una ventina di presbiteri - cui segue l’Ungheria, con una
decina di sacerdoti e consacrati, la Slovacchia, la Spagna e la Romania. La Francia
è, finora, l’unico Paese in cui il direttore nazionale della Pastorale per gli Zingari
è un loro presbitero, coadiuvato da un altro sacerdote, 3 diaconi permanenti, 2 Suore
e una laica consacrata, tutti Zingari. D’altro canto, certamente non tutto dipende
dalla Chiesa. Negli stessi “Orientamenti” dicevamo pure che, per poter parlare di
un’autentica accoglienza, intesa anche in termini di integrazione e di incontro di
culture, è necessario un grande cambiamento di mentalità, anche in ambito civile.
Accoglienza richiede appunto la considerazione dell’identità e dignità dell’altro,
e conseguente impegno per garantirgli una vita dignitosa e il rispetto dei diritti
fondamentali. Purtroppo, molto spesso ancora nei nostri rapporti con gli Zingari ci
lasciamo guidare da pregiudizi e preconcetti nei loro confronti. D.
- Lei ritiene che oggi gli zingari siano vittime di provvedimenti discriminatori in
alcuni Paesi? R. - Sì, purtroppo. Basta pensare alle polemiche
suscitate negli ultimi mesi da alcuni provvedimenti legislativi sfavorevoli alle popolazioni
zingare. Dai rapporti che ci pervengono dalle Chiese locali, costatiamo che un po’
dappertutto gli Zingari sono vittime di discriminazione, disuguaglianza, e altresì
razzismo e xenofobia. Consideriamo, per esempio la situazione in Europa: i Rom e Sinti,
pur se cittadini di Stati membri e muniti di documenti validi, non possono godere
degli stessi diritti dei comuni cittadini. In alcuni Paesi, i bambini zingari sono
costretti a frequentare scuole speciali per disabili fisici o mentali, mentre non
poche donne vengono sottoposte a sterilizzazione forzata. La generale mancanza di
fiducia fa sì che ai giovani, pur se ben preparati professionalmente, non sia concesso
l’ingresso al mondo del lavoro come per gli altri. D. - Qual
è la strada che la Chiesa indica per favorire una maggior apertura delle comunità
ospitanti nei loro confronti? R. - Prima di tutto, direi, uno
sforzo comune per una migliore conoscenza della situazione delle comunità zingare
dall’interno, della loro cultura e storia. Il ruolo fondamentale possono svolgere
in questo processo le scuole e i mass-media, nonché i mediatori culturali. Occorre,
infatti, offrire alla società circostante un’immagine anche positiva degli Zingari
per sradicare preconcetti persistenti. È necessario anche lavorare in comune accordo
con gli Zingari, non ignorando la loro identità, il loro modo di vita, le tradizioni,
la specificità del lavoro e soprattutto, come ho già detto, la cultura. Se
non c’è rispetto per la cultura delle popolazioni zingare, sarà difficile giungere
a una reale integrazione e dunque, in prospettiva, anche a un accettabile grado di
scurezza sociale. D. - Perché, a volte, l’impegno della Chiesa
per l’accoglienza degli Zingari viene scambiato per ingerenza nelle politiche migratorie
dei diversi stati nazionali? R. - È l’indole propria della Chiesa
essere profondamente impegnata in ciò che riguarda la vita dei suoi figli e della
società in cui vivono, e quindi non rimanere estranea alle questioni sociali, esercitando
anche l’advocacy nella difesa dei diritti umani di tutti. La Chiesa si propone
di assistere l'uomo sul cammino della salvezza, ma essa ha pure una propria Dottrina
sociale, con la quale incidere sulla società e sulle sue strutture. È un suo diritto-dovere
evangelizzare il sociale, ossia far risuonare la parola del Vangelo nel complesso
mondo contemporaneo. Da qui, deriva anche il dovere di prendere una posizione ferma
e decisa - pur rispettosa delle competenze proprie a ciascuno - nelle situazioni in
cui la dignità della persona umana e i suoi diritti siano calpestati, quando gli esseri
umani soffrano per ingiustizie, discriminazioni o emarginazioni. Quindi, essa fa il
proprio dovere anche quando condanna l’operato o deplora le decisioni degli Stati
che offendono od opprimono la dignità umana. Questa sua posizione, purtroppo, è intesa
spesso come, appunto, un’ingerenza politica. La Chiesa, invece, al di sopra dei partiti,
si mette dalla parte dei più deboli, difende coloro che soffrono e dà voce a quelli
che non l’hanno, come diceva Giovanni Paolo II, nel rispetto comunque della legalità
e della sicurezza. Accoglienza e sicurezza vanno insieme come abbiamo detto molte
volte. D. - C’è nei giovani zingari la consapevolezza di dover
collaborare a un migliore inserimento dei loro gruppi etnici nella società? R.
- Decisamente sì. La maggioranza dei giovani zingari ha maturato la consapevolezza
di dover e voler svolgere un ruolo da protagonista nei processi decisionali e politici
che riguardano la promozione umana e sociale delle loro etnie. Essi sono convinti
che non possono esserci strategie internazionali e nazionali efficaci in questo senso,
senza la loro partecipazione nella preparazione e attuazione di queste strategie.
Tale consapevolezza - come sostiene una giovane Sinta italiana nella sua relazione
al Congresso - si esprime in forme diverse dal passato, più pronte al confronto culturale
e politico con la società maggioritaria. Ella ci avverte inoltre che sarà difficile
poter parlare di un futuro costruttivo degli zingari se questi non saranno coinvolti
pienamente nelle politiche che riguardano la loro esistenza. Si nota anche maggior
impegno per la formazione di giovani attivisti/mediatori zingari, i quali possano
servire da canali di comunicazione tra le proprie comunità, le istituzioni
e la popolazione maggioritaria, oppure da sostegno ai propri coetanei nel proseguire
una buona preparazione professionale e per sradicare la diffidenza presente nelle
loro comunità, come anche pregiudizi negativi persistenti nella gran parte delle nostre
società. D. - Quale messaggio vorrebbe che arrivasse
dall’incontro di Freising a tutte le comunità zingare e a quei Paesi ospitanti che
sono impegnati, talora con difficoltà, nella loro accoglienza? R.
- Prima di tutto, un messaggio di solidarietà e di comunione, in un contesto
di speranza. È il nostro desiderio rassicurare gli Zingari che sono al centro della
preoccupazione della Chiesa, in quanto figli dello stesso Padre. Pur se spesso relegati
ai margini delle società e discriminati, essi continuano ad occupare il posto che
spetta loro, come disse Paolo VI, “nel cuore della Chiesa”. Vogliamo incoraggiare
i giovani Zingari ad un impegno concreto e duraturo per migliorare le condizioni di
vita delle loro comunità, e per difendere la propria dignità e i propri diritti. Allo
stesso tempo, non si mancherà di ricordare loro anche il dovere di assumere tutti
gli obblighi che una partecipazione responsabile alla vita sociale, politica ed ecclesiale
comporta. Un invito, poi, agli uomini di buona volontà e alle comunità ospitanti,
ad aprire cammini di fiducia e rispetto, di comprensione e perdono reciproco. Occorre
ricordare che il rispetto della dignità trascendente della persona umana è il principio
supremo che deve governare la convivenza umana, culturale e religiosa. Una raccomandazione,
quindi, anche a lasciarsi coinvolgere in una maggiore apertura con gesti concreti
di aiuto e sostegno. E agli Stati, un appello per adottare una normativa che davvero
tuteli i diritti delle popolazioni zingare e le protegga da discriminazione, razzismo
ed emarginazione. Infine, un invito ad un dialogo aperto e costruttivo con le rappresentanze
zingare.