Vasta eco per le parole di Benedetto XVI sul pericolo dei nazionalismi. Il prof. Giovagnoli:
l'appello del Papa sia raccolto dalla diplomazia internazionale
Preoccupazione per il risorgere dei nazionalismi, che rischiano di suscitare nel mondo
antiche paure, ed esortazione accorata a ripudiare la violenza in favore di altri
strumenti più idonei a costruire la pace ad ogni latitudine. Le parole pronunciate
ieri all’Angelus da Benedetto XVI hanno suscitato una eco vastissima. Il Papa ha invitato
ogni Paese a “costruire relazioni feconde e sincere”, per assicurare alle generazioni
presenti e future “tempi di concordia e di progresso morale e civile”. Alessandro
De Carolis ha chiesto un’opinione in merito al prof. Agostino Giovagnoli,
docente di storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano:
R. – Dal
punto di vista storico, c’è indubbiamente il peso di un’esperienza che è poi quella
dell’Europa del '900 alla quale lo stesso Benedetto XVI fa riferimento: e cioè ai
danni, ai pericoli gravissimi che il nazionalismo è stato in grado di portare alla
pace in Europa, che oggi sembrano inaspettatamente riemergere all’inizio del XXI secolo.
D.
- Dietro questa impennata dei nazionalismi, che Benedetto XVI stigmatizza, secondo
lei cosa c’è? Siamo davvero a rischio, come dicono alcuni, di un ritorno al passato,
di una nuova deriva di guerra fredda?
R. - I ritorni
al passato sono improbabili nella storia, però il pericolo è grave, questo indubbiamente
sì. Tuttavia, parlale di "guerra fredda" è fuorviante: non c’è dubbio che siamo in
presenza di una tensione crescente - il Papa usa questa parola, giustamente - che
rischia di essere molto destabilizzante per quanto riguarda la pace in Europa e nel
mondo. Nel Caucaso, ci sono questioni molto antiche, il pericolo nazionalista è endemico,
come del resto anche nei Balcani. Il vero problema è quando si alterano improvvisamente
degli equilibri con interventi anche esterni che possono far divampare la tensione
in modo molto rapido. E da questo punto di vista occorre, come dice il Papa, fare
una scelta di combattere il pessimismo e di far crescere la fiducia e poi di operare,
instancabilmente, attraverso la via delle trattative, senza mai affermare nessun principio
in modo assoluto, fosse quello dell’autodeterminazione dei popoli o altri ancora.
D.
- A questo proposito, ieri il Papa ha detto di evitare di affrontare le nuove situazioni
con vecchi sistemi, indicando, per l’appunto, direi alla diplomazia internazionale,
le strade della forza del diritto, dell’equità nei negoziati. Che valore hanno questi
principi, secondo lei, nelle crisi che sono in atto oggi?
R.
- Io credo che sia molto opportuno richiamare questi principi. Le diplomazie si sono
mosse male nella crisi del Caucaso: o seguendo simpatie ideologiche, oppure logiche
geopolitiche piuttosto discutibili. Quando il Papa parla della pace, dell’unità della
famiglia umana, delle Nazioni, non sono solo affermazioni di principio: sono anche
obiettivi di grande respiro che purtroppo le diplomazie sembrano smarrire, perdendosi
in una quotidianità, in un giorno per giorno, che poi, alla fine, rischia di aumentare
le tensioni.
D. - Lei, prima, ha ricordato che Benedetto
XVI ha invitato all’ottimismo. Molti altri analisti internazionali sono invece pessimisti
sui destini della pace del pianeta. Qual è la sua visione?
R.
- Io credo che il Papa sia realista, quindi, in questo senso, non è che si faccia
illusioni, ma proprio il realismo, in un certo senso, è ciò che spinge a combattere
il pessimismo. Perché con la guerra - che è lo spettro che si aggira - “tutto è perduto”
diceva Pio XII. E dunque, l’ottimismo è sì una scelta della volontà, ma è anche una
risposta realistica alla gravità dei problemi sul tappeto.