I vescovi dell'Ecuador difendono la libertà di parola della Chiesa
I vescovi dell’Ecuador ribadiscono, in una nuova Dichiarazione, il diritto della Chiesa
di annunciare con libertà il messaggio evangelico. Di fronte alle polemiche suscitate
dalle parole pronunciate a Quito, durante il Congresso Americano Missionario, dal
presidente dell’episcopato ecuadoriano e arcivescovo di Guayaquil, mons. Antonio Arregui
Yarza, i presuli ripropongono il documento della Conferenza episcopale dello scorso
28 luglio: un testo che esprimeva perplessità sulle norme riguardanti il diritto alla
vita, la famiglia e l’educazione, contenute nella nuova Carta costituzionale che sarà
sottoposta a referendum popolare il prossimo 28 settembre. Il servizio di Luis
Badilla.
Le parole
del presidente della Conferenza episcopale hanno provocato, in alcuni settori, aspre
reazioni quasi a voler dire che la Chiesa non ha diritto a pronunciarsi su queste
materie. Nel documento del 14 agosto i vescovi dell’Ecuador, citando il Catechismo
della Chiesa cattolica, ricordano che “è compito della Chiesa annunziare sempre e
dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, e così pure pronunciare il
giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigano i diritti fondamentali della
persona umana o la salvezza delle anime” [2032). Lo strumento giuridico “Modus Vivendi”,
firmato tra la Santa Sede e il governo dell’Ecuador, ribadiscono i presuli, chiede
al clero di non prendere parte alla vita dei partiti e non partecipare alla contesa
politica mentre il Protocollo aggiuntivo riconosce “la piena e incontestabile libertà
che ha tutto il clero di predicare, esporre e difendere la dottrina dogmatica e la
morale cattolica” (art. 1 e 4). Perciò – affermano i vescovi - “adempiendo alla nostra
missione continueremo ad annunciare gli orientamenti pastorali contenuti nel documento
del 28 luglio” per illuminare la realtà con la Parola di Dio affinché i cattolici
e le persone di buona volontà, con una buona informazione, votino in coscienza, liberamente
e consapevolmente”. Sebbene nella nuova Costituzione si percepiscano alcuni enunciati
positivi su “la centralità della persona tra i fini della società, dell’economia,
dell’educazione e della salute, con particolare enfasi riguardo alla promozione dei
poveri”, hanno scritto i vescovi ecuadoriani nel documento del 28 luglio, manca invece
“la menzione dei processi per la lotta contro la povertà e la corruzione”. Il
problema maggiore si pone in alcuni enunciati fondamentali come quelli relativi all’aborto,
alla famiglia, all’educazione e alla libertà religiosa. Per questo, i vescovi, nel
ricordare che tali aspetti non sono negoziabili, esigono un atteggiamento chiaro da
parte dei credenti e delle persone di buona volontà e indicano alcuni punti fondamentali
sui quali si basa il loro disaccordo, “sapendo che questo rifiuto è condiviso da più
di 800.000 firme consegnate all’Assemblea Costituente anche dei fratelli cristiani
evangelici e di altri ecuadoriani di buona volontà”. Il primo punto afferma che la
persona umana esiste prima dello Stato, cioè “è lo Stato che è al servizio della persona
e della società e non le persone e la società al servizio dello Stato”, cosa che non
è chiara nella nuova Costituzione. Inoltre, secondo i vescovi, non viene riconosciuto
con chiarezza il diritto alla vita dal momento del concepimento, poiché, “senza menzionare
il termine ‘aborto’, il progetto costituzionale lascia la porta aperta alla soppressione
della nuova creatura nel seno della madre”. Si attenta anche “contro la famiglia come
cellula fondamentale della società e del bene comune”, dato che nella nuova Costituzione
“viene respinta l’esistenza della ‘famiglia tipo’, per sostituirla con diversi ‘tipi
di famiglia’. Di lì si passa ad equiparare alla famiglia l’unione di persone dello
stesso sesso”. Infine il tema dell’educazione, in quanto “il diritto dei genitori
ed il riconoscimento della libertà di insegnamento vengono rifiutati quando lo Stato
si arroga il diritto di determinare quello che deve essere insegnato e ciò che va
ignorato”. In effetti “con l’affermazione che l’educazione è un servizio pubblico
– concludono i vescovi ecuadoriani - si considera l’educazione particolare come una
mera concessione dello Stato e non come un’espressione del diritto dei genitori”.