Notizie contrastanti sul ritiro russo dalla Georgia. Profughi: appello della Caritas
Polemiche e notizie contrastanti sull’effettivo ritiro delle truppe russe dalla Georgia,
annunciato per oggi a mezzogiorno dal presidente russo Medvedev. Il punto della situazione
nel servizio di Giuseppe D’Amato: Continuano
le polemiche e le discussioni sul ritiro delle truppe russe dai teatri di guerra nel
Caucaso. L’Occidente chiede di far presto. Mosca ha assicurato che i suoi uomini si
stanno muovendo per posizionarsi nei luoghi definiti dagli accordi del 1999. Alcune
unità resteranno probabilmente in una zona cuscinetto, a ridosso dell’Ossezia meridionale,
mentre in Georgia si attende che alcune misure di sicurezza vengano implementate.
Le interpretazioni distinte da parte dei Paesi in causa del cessate il fuoco è quindi
ragione di polemica. Il presidente georgiano Sakaashvili chiede una verifica internazionale.
In un discorso in televisione, il leader georgiano si dice pronto ad iniziare un nuovo
dialogo con Mosca, alla fine del ritiro completo delle truppe nemiche. Il ministro
degli Esteri russo Lavrov sostiene che Sakaashvili non è un interlocutore attendibile,
poiché le sue parole non corrispondono ai fatti. Se non vi sarà un ritiro completo
e rapido, come specificato nel piano – ha ribadito il presidente francese, Sarkozy
– Parigi richiederà una riunione straordinaria dell’Unione Europea. Vi potrebbero
essere conseguenze per le relazioni con la Russia. L’Ucraina, sotto la cui giurisdizione
si trova il porto di Sebastopoli, ha deciso che le navi russe dovranno comunicare,
entro tre giorni dalla partenza, armamento e motivo della missione. Mosca protesta:
di tale obbligo - dice - non c’è traccia nei trattati bilaterali. Vari analisti prevedono
una nuova crisi diplomatica fra Russia ed Ucraina.
“Abbiamo bisogno di
aiuto, la situazione dei profughi è drammatica”. E’ l’appello lanciato da padre
Witold Szulczynski, direttore di Caritas Georgia, impegnato a Tiblisi, nelle operazioni
di soccorso. Migliaia le persone fuggite dalle proprie case a causa del conflitto
russo-georgiano. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato: R.
– A Tblisi arrivano i profughi, che sono almeno 100 mila, e di questi la maggior parte
sono appunto a Tblisi.
D. – E queste persone dove
vanno, dove sono ospitate?
R. – Nelle scuole, in
vecchi ospedali, e molte volte in ospedali abbandonati da anni, in condizioni terribili.
Per esempio, sabato sera ci ha chiamato l’ambasciatore italiano e siamo andati con
il nunzio apostolico, mons. Gugerotti, in un quartiere periferico di Tblisi, dove
c’era il vecchio ospedale militare russo. In questo edificio si trovano 1500 profughi.
Non c’è luce né il minimo aiuto né l’assistenza sanitaria. Non c’è niente, se non
un puro disastro.
D. – Cosa avete fatto per questa
situazione in particolare?
R. – La mattina e la sera
portiamo panini e da oggi cerchiamo di aprire anche lì un piccolo poliambulatorio,
perché ci sono anche i bambini, gli anziani, e molti hanno problemi di salute.
D.
– Su quali altri fronti siete impegnati?
R. – Su
vari fronti: mi hanno chiamato da Rustavi, una città a 20 km da Tblisi, dove ci hanno
chiesto cibo per 700 bambini. In modo telegrafico, adesso la situazione vede tante
necessità, tanta gente che arriva senza niente, solo con un vestito addosso.
D.
– Da dove vengono i profughi che arrivano nella città?
R.
– C’è una parte che arriva dalla città di Gori e dalla sua periferia, mentre la maggior
parte dei profughi vengono dai villaggi attorno Tskhinvali. Ci sono,
poi, più o meno 12 mila profughi dall'Abkhazia.
D.
– Il Papa ieri ha ribadito la sua apprensione per quanto sta succedendo nel Caucaso
e ha sottolineato la necessità di aprire urgentemente i corridoi umanitari...
R.
– La prima necessità è portare i viveri, i medicinali, gli aiuti a questa gente che
è rimasta lì e poi dare la possibilità alla gente di tornare a seppellire i propri
morti e di aiutare i feriti. Ho parlato con un vescovo ortodosso, che raccontava che
ci sono tantissimi corpi non sepolti, e molti feriti che non possono essere aiutati,
perché la strada è chiusa.
D. – Qual è dunque il
vostro appello ai microfoni della Radio Vaticana? Cosa vi serve?
R.
– Ci serve tutto: viveri, medicinali, ma più di tutto la pace, perchè con la pace
gradualmente la gente ritornerà, ricostruirà le proprie case, le proprie città. E
tramite voi vorrei ringraziare tutti coloro che ci aiutano, che pregano per noi: tutto
questo senz’altro ci serve e ci aiuta a lavorare.