Nepal: il leader storico dei maoisti eletto premier a due mesi dall’abolizione
della monarchia
Il leader storico degli ex ribelli maoisti nepalesi, Prachanda, è il nuovo primo ministro
del Paese himalayano. Il capo del governo è stato eletto, ieri pomeriggio, dall'Assemblea
Costituente, creata alla caduta della monarchia, per formare le nuove istituzioni
repubblicane. All’elezione di Prachanda si sono opposti i componenti del partito del
Congresso nepalese, che auspicavano un premier dell’area moderata. Ma quali cambiamenti
si avvertono oggi nel nuovo Nepal? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Luca
Lo Presti, presidente di Pangea Onlus, organizzazione non governativa, che da
tempo porta avanti progetti umanitari in Nepal a favore delle donne:
R. – Ancora
non vediamo nessuno che tenda a rispettare i diritti appieno, come noi ci aspettiamo
che avvenga. Però, il fatto che non ci sia più una monarchia assoluta con un governo
e un re con tutte le sue prerogative, ci fa sperare che, con il tempo, si possano
ritrovare quei diritti fondamentali ai quali tutti si ambisce.
D.
– Dal punto di vista sociale, si avverte un cambiamento, un miglioramento?
R.
– Ancora no. C’è scetticismo, c’è attesa ... C’è anche speranza, perché il governo
del re Gyanendra certamente non era stato un governo democratico. Oggi c’è lo stesso
scetticismo da parte della gente, come in ogni Paese dove vengono ribaltate le sorti
politiche, dove comunque il popolo non è stato chiamato a decidere, dove il popolo
da sempre è abituato alle angherie di chi comanda.
D.
– Il Nepal è pronto alla democrazia?
R. – Intanto,
proviamo ad immaginare che cosa è il Nepal: è uno Stato fatto dalle montagne più alte
del mondo, composto prevalentemente da contadini, pastori o allevatori dispersi qua
e là sulle montagne. Dello Stato centrale sanno poco perché non li coinvolge, perché
comunque è distante ... sono realtà molto, molto piccole, quelle dove la gente vive.
Non ci saranno molti cambiamenti e, se ci saranno, saranno nel tempo. Dire che i nepalesi
sono pronti ad una democrazia, secondo me, è un’affermazione abbastanza prematura.
Speriamo che il governo porti la democrazia là dove la gente vive, portando la scuola,
portando i servizi sociali, portando tutte quelle cose che possono dimostrare la presenza
di un governo e non più la guerra, come c’è stata fino ad oggi!
Pakistan In
Pakistan, almeno 462 miliziani integralisti e 22 soldati del forze regolari sono morti
nell'ultima settimana segnata dall’offensiva dell’esercito contro oltre 3 mila talebani,
asserragliati nelle zone tribali del nord ovest del Paese. I violenti scontri hanno
provocato la fuga di circa 219 mila persone. E mentre Islamabad si trova a fare i
conti anche con l’emergenza profughi, la coalizione di governo ha messo a punto la
procedura di impeachment contro il presidente Pervez Musharraf incentrata sulla
violazione della costituzione. Dal canto suo, Musharraf ha ribadito di non volersi
dimettere, ma sono sempre più insistenti le voci di negoziati in corso per indurre
l’ex generale a lasciare la scena politica in cambio della garanzia di evitare strascichi
legali.
Iraq Sei pellegrini sciiti sono morti in un attentato a Baghdad.
I fedeli si stavano dirigendo a Kerbala per la festa che celebra il dodicesimo imam,
Mahdi. La strage, l'ultima di una serie che negli ultimi due giorni ha fatto 36 morti
tra i pellegrini, è stata messa in atto con un'autobomba nel quartiere di Ur della
capitale irachena. Poche ore prima, un’altra autobomba ha ucciso nove persone in un
parcheggio di Balad, cento chilometri a sud di Baghdad.
Somalia Non
si ferma la violenza in Somalia, dove sono almeno 6 mila i civili uccisi, negli ultimi
12 mesi, in attentati e scontri tra milizie islamiche e le truppe etiopi che appoggiano
il governo di transizione. Ieri pomeriggio l’ennesima strage vicino a Mogadiscio,
dove circa 40 persone che viaggiavano a bordo di due minibus sono state uccise dai
soldati etiopi che hanno aperto il fuoco sui passeggeri, come rappresaglia di un attentato
dinamitardo subito poco prima.
Paraguay “Lotta senza quartiere
alla corruzione e impegno per la giustizia sociale”, alla cerimonia di insediamento
di ieri il nuovo presidente del Paraguay, Fernando Lugo Mendez, è tornato sulle promesse
della campagna elettorale. Folta la platea di capi di Stato latinoamericani, che hanno
assistito al giuramento. Si apre così il mandato di Lugo, che presenta fin da subito
molti punti di rottura con le amministrazioni precedenti. Il servizio di Marco
Guerra:
A quasi quattro
mesi dalla vittoria alle elezioni, il nuovo presidente del Paraguay, Fernando Lugo
Mendez, si è insidiato ufficialmente ad Asuncion, succedendo al leader del Partido
Colorado, Nicanor Duarte Frutos. Si tratta del sesto presidente eletto democraticamente
dal 1989, anno della fine del regime militare che ha tenuto in pugno il Paese per
oltre 35 anni. Il nuovo presidente ha giurato ieri, alle ore 10 locali, nel corso
della cerimonia di insediamento che ha visto la presenza dei più importanti capi di
Stato dell’America Latina, fra cui il brasiliano Lula e il venezuelano, Hugo Chavez.
Forte di un altissimo gradimento popolare confermato dagli ultimi sondaggi, Fernando
Lugo ha annunciato un programma di austerità a tutti i livelli “per dosare le risorse
del Paraguay”. Lugo è anche tornato a ribadire la necessità di un maggior impegno
nella lotta alla corruzione. Il nuovo presidente ha quindi promesso ''uno Stato trasparente''
ed ''un programma produttivo orientato al sociale'', e come primo segno tangibile
di discontinuità del suo mandato ha rinunciato al suo stipendio e all’utilizzo della
residenza presidenziale. Infine, Lugo ha voluto indicare due battaglie che lo vedranno
impegnato in prima persona: quella per le popolazioni originarie indigene a cui spetta
la proprietà della terra e il dramma dei bambini abbandonati nelle strade.
Repubblica
Dominicana Ventinove morti e trenta feriti. E’ il bilancio provvisorio dell’incidente
che ha coinvolto ieri due autobus nella Repubblica Dominicana. Alla base della sciagura,
in cui hanno perso la vita anche 4 turisti italiani, sarebbe stata la scarsa visibilità
per le piogge battenti.
Stati Uniti Negli Stati Uniti fa discutere
la misura disposta dal provveditorato agli studi del distretto di Harrold, in Texas,
che autorizza gli insegnanti a portare armi a scuola. Il provvedimento, il primo del
genere negli USA, è stato deciso per garantire la sicurezza del corpo docente e degli
stessi studenti in caso di sparatoria o attacco armato. Il programma "guns for teachers",
che prevede uno speciale corso di formazione per i docenti, ha incassato il bene stare
dei genitori degli studenti. La scuola americana, in questi ultimi anni, è stata segnata
da un'escalation di cruente sparatorie che hanno causato diverse decine di vittime.
Il più recente massacro di questo tipo risale al 16 aprile 2007, quando uno studente
d'origine asiatica uccise 33 studenti nel campus del politecnico "Virginia Tech".
(Panoramica internazionale a cura Marco Guerra)
Bollettino del
Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 229
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