Mons. Mennini: il piano di pace, passo in avanti. Il direttore della Caritas russa:
è dramma per i profughi
Ma quali sono gli aspetti da sottolineare del piano di pace proposto dall’Unione Europea?
Risponde da Mosca, al microfono di Amedeo Lomonaco, il rappresentante della
Santa Sede nella Federazione Russa, l’arcivescovo Antonio Mennini:
R. – Il piano
di pace è un passo in avanti molto significativo, perché le due parti hanno trovato
questo consenso sul documento redatto congiuntamente dal presidente Sarkozy e dal
capo di Stato Medvedev. Tra i sei punti, soprattutto quello che riguarda il non ricorso
alla forza permetterà l’accesso anche agli aiuti umanitari per il soccorso, in modo
stabile e duraturo. La parte georgiana ha voluto che non si metta in discussione,
per il futuro, lo statuto giuridico delle due regioni separatiste; comunque, questo
è un aspetto al momento secondario. L’importante è che le armi tacciano e che le parti
abbiano deciso di sedersi attorno ad un tavolo.
D.
– Un conflitto vinto dunque sul fronte militare dalla Russia e su quello diplomatico
dall’Unione Europea, che ha proposto il piano di pace accettato da Mosca e in parte
anche da Tbilisi; in questo caso la voce di Bruxelles si è fatta sentire…
R.
– Si, la situazione ha dimostrato che di fronte magari un po’ al silenzio di altre
potenze – senza volerle nominare - l’Unione Europea può svolgere un gioco importante.
Un ruolo bene accetto, oserei dire, anche dalla Russia.
D.
– Eccellenza, secondo lei il conflitto scoppiato in Ossezia si può anche considerare
come una conseguenza diretta dell’indipendenza unilaterale del Kosovo?
R.
– Ne ha fatto cenno ieri il presidente Medvedev. Ma non ritengo, come si dice, che
la Russia voglia giocare la carta dell’indipendenza delle due repubbliche, perché
questa forse provocherebbe anche problemi non solo in altre parti del mondo, ma forse
anche all’interno della Federazione Russa.
D. - E
quali equilibri adesso si devono salvaguardare per tutelare il futuro della regione
caucasica?
R. – Vorrei prendere a prestito alcune parole scritte ieri
sul Washington Post dall’ex presidente dell’Unione Sovietica, Michail Gorbaciov. L’ex
capo di Stato afferma che, certamente, quando gli Stati Uniti sostengono che il Caucaso
è una sfera di influenza vitale per l’interesse nazionale per loro, in parte è vero.
E’ in parte vero in quanto la pace nel Caucaso non può non essere interesse di tutti;
però - aggiunge Gorbaciov - bisogna considerare che, a maggior ragione, la Russia
ha interessi legittimi nella zona, interessi che le derivano da una lunga storia condivisa
con quei popoli, e poi anche dalla collocazione geografica.
D.
– Quale contributo può dare la Chiesa, per il mantenimento della pace?
R.
– Io penso che appunto, come ha detto anche il Santo Padre che ha lanciato un appello
richiamando alle comuni radici cristiane dei popoli, prima di tutto sia necessaria
un’azione educativa: si deve cercare di far cadere questo senso di sospetto verso
tutto ciò che è diverso e strano, dal punto di vista etico e nazionale. Poi, insieme
anche con i cattolici, si deve promuovere un’azione umanitaria. So che i nostri responsabili
della Caritas russa si sono recati già sul posto e stanno verificando insieme anche
con i responsabili della Chiesa ortodossa, come attivare gli aiuti anche da parte
cattolica.
Si è infatti messa in moto la macchina della
Caritas per aiutare migliaia di profughi in fuga dall’area devastata dal conflitto.
Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente a Beslan, in Ossezia del Nord
- dove sono moltissime le persone giunte dalle zone teatro di guerra - il direttore
della Caritas Russia, padre Alexander Pethsik:
R. – I profughi
sono fuggiti dalle case, tante volte senza documenti, tante volte soltanto con gli
abiti che indossavano, una giacca, il pigiama ... Hanno la necessità di comprare qualcosa
non solo da mangiare, ma anche vestiti ...
D. – Oltre
alle necessità di base, è importante anche dare un sostegno morale, essere vicini,
essere presenti ...
R. – Io penso che il sostegno
morale sia quello che ha dato Papa Benedetto XVI durante l’Angelus, pregando per i
due Paesi, per le vittime, per tutti coloro che vivono in questa zona. Io penso che
questo appoggio morale nella preghiera, di vicinanza alle vittime, alla gente che
soffre è più importante: dimostra la solidarietà, dimostra che tutti siamo figli di
Dio.
D. – Cosa vi dicono i profughi quando vi incontrano?
Vi ringraziano per il vostro impegno?
R. – Ho incontrato
bambini, donne, anziani ... Gli anziani sono contenti di essere vivi ... Nella loro
voce si sente la preoccupazione. ‘Grazie, padre, che sei con noi, grazie, che sei
venuto’. Si percepisce l’inquietudine soprattutto negli occhi dei bambini: sono bellissimi
come tutti i bambini del mondo, ma portano una ferita interiore. Prima di concedere
un sorriso, si tengono distanti. Oggi ho incontrato anche il primo ministro della
Repubblica dell’Ossezia del Nord: ha ringraziato la Chiesa cattolica per l’aiuto,
per il sostengo morale, per le proposte concrete della Caritas.
D.
– Lei adesso si trova a Beslan, nota purtroppo per la strage della scuola ...
R.
– Esattamente! Io mi trovo adesso vicino al cimitero nel quale sono seppellite tante,
tante vittime: i bambini e anche alcuni dei genitori che erano nella scuola ...
D.
– Questa terra, purtroppo nota per la strage nella scuola di Beslan, oggi diventa
una terra che accoglie i profughi…
R. – Esattamente:
questo è molto, molto significativo. E’ significativo come questa terra di Beslan,
che anche la Chiesa cattolica di tutto il mondo ha aiutato tantissimo, adesso diventi
terra d’accoglienza ...