Dopo l'accordo, la Georgia denuncia: violata la tregua. Ma Mosca nega. Il nunzio a
Tblisi: urge la solidarietà internazionale
Ma il piano di pace, così come è formulato, può
realmente risolvere la questione osseta? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto al nunzio
apostolico in Georgia, mons. Claudio Gugerotti, raggiunto telefonicamente a
Tbilisi:
R. – E’ molto
difficile dirlo, per il momento. La questione osseta ha radici complesse, estremamente
articolate e non basta; certamente è un primo passo per risolvere definitivamente
il problema. Certamente, ci si sta incamminando in una direzione che è quella del
dialogo e del negoziato. Questa è assolutamente l’unica percorribile.
D.
– Come è stato accolto questo epilogo in Georgia?
R.
– In due modi. C’è una Georgia che tenta di reagire con il suo orgoglio, la sua fierezza.
C’è una Georgia che tenta di rimettersi in piedi, di ricominciare a vivere con onore,
e c’è un’altra Georgia che è completamente prostrata dalla miseria, dalla sofferenza:
ci sono moltissimi ammalati, moltissimi feriti. Non ci sono strutture, stiamo cercando
di impiantare ospedali da campo, attività umanitarie. Ma non abbiamo neanche i soldi
per poterlo fare. Quindi colgo l’occasione per fare veramente un appello affinché
ci sia una mobilitazione internazionale più cospicua nell’attenzione ai malati e ai
sofferenti di quanta non ci possa essere stata per prevenire il conflitto. C’è il
desiderio di fare ma bisogna prima di tutto tamponare il sangue che sta uscendo copioso
dalle ferite fisiche.
D. – Oltre allo status della
terra osseta, sembra ormai evidente che siano state anche altre le cause di questa
guerra. Quale peso hanno avuto, in particolare, le rotte caucasiche del petrolio che
arrivano in Europa?
R. – La parola “petrolio” è una
parola magica, che oggi spesso sostituisce quelli che in altri tempi erano dei valori
che si scrivevano con la maiuscola. Certamente, il problema del petrolio e del gas
giocano un ruolo notevole, ma più che nell’avvenimento, in tutta la geopolitica di
questa area.
D. – Il mondo dell’informazione, in
questi giorni probabilmente abbagliato anche dai giochi olimpici di Pechino, ha raccontato
correttamente ed obiettivamente la guerra in Ossezia?
R.
– Io le posso dire di aver visto degli ottimi servizi su alcune televisioni internazionali;
devo anche dire che è molto difficile destreggiarsi in un servizio di informazione
dai luoghi che è fortemente pilotato e spessissimo contraddittorio. Per cui, io capisco
anche la difficoltà dei giornalisti. Questa notte viaggiavo e ho trovato molti giornalisti
italiani sull’aereo: evidentemente, si stanno mobilitando per venire sul posto. E’
probabile che la visione delle cose direttamente dal posto possa garantire un’informazione
che altrimenti risulta mediata da un’antica tecnica, che è quella della 'disinformazia'.
D.
– E quali allora le speranze della gente e della Chiesa georgiane?
R.
– Per il momento, francamente, speranze non ce ne sono. Per il momento, c’è soltanto
la gioia di poter sopravvivere, di poter essere ancora vivi e di doversi prendere
carico delle famiglie, dei parenti. La speranza è sempre una speranza che nasce dal
cuore. Devo dire che anche la Chiesa ortodossa si è mobilitata molto con la preghiera...
L’invito che il Santo Padre ha espresso domenica è stato accolto con molta gratitudine
dal popolo georgiano ed il suo messaggio è stato letto subito dopo il discorso del
Patriarca due giorni fa, in piazza. Questo ci porta a ben sperare che forse, nella
sofferenza, si trovi anche quella unione di intenti e di spiriti. Certamente è un
passo verso una visione più fraterna della compresenza in questa area.