2008-08-13 15:11:05

Attentato in Libano all’indomani del varo del governo di unità nazionale: 18 i morti


Grave attentato in Libano. Almeno 18 persone, tra queste una bambina di 7 anni, hanno perso la vita a Tripoli. L’attacco terroristico, che non è stato finora rivendicato, è avvenuto in un momento di estrema delicatezza per gli equilibri regionali, all'indomani del varo del governo di unità nazionale nel Paese. Intanto, c’è attesa per l’arrivo in Siria del presidente libanese Michel Suleiman, eletto il 25 maggio scorso che ha già lanciato un forte appello all’unità. Stefano Leszczynski ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze:RealAudioMP3

R. – E’ chiaro che è in ogni caso una visita interlocutoria. E' interlocutoria non solo perché l’uomo è nuovo rispetto alla responsabilità. Tutto il quadro, non solo mediorientale, ma dei rapporti a triangolo tra Siria, Libano e Israele, e poi il contesto generale, è in attesa di chiarimenti, sia per quanto riguarda la presidenza americana, sia per quanto riguarda la nuova leadership di Israele.

 
D. – Cosa manca al Libano perché l'unità nazionale si rafforzi?

 
R. – Il Libano, purtroppo, è un Paese che ha un sistema politico confessionale: non si pesano i voti degli individui, ma si pesa anche la loro appartenenza. Il presidente Suleiman però ha una carta importante: è stato eletto dopo inaudite vicende, attentati, assassini e così via, quasi all’unanimità del Parlamento libanese.

 
D. – La Siria ha avviato dei colloqui indiretti con Israele. Questo “riavvicinamento” tra la Siria e il Libano potrebbe preludere a qualche passo ulteriore nei confronti del processo di pace con Israele?

 
R. – Non credo francamente, perché la vera fatica è tra Siria e Israele; quindi, chiaramente, sul Golan. Per definire questo, credo che il ruolo libanese sia assolutamente accessorio. Inoltre, il confine libanese regge, è tranquillo, perché dopo la guerra di due anni fa, il movimento hezbollah ha in pratica assicurato una tregua, che ha tutte le intenzioni di mantenere.

 
Afghanistan
Sgomento in Afghanistan per l’uccisione di tre operatrici umanitarie – una americana, una irlandese ed una canadese - e del loro autista afghano, avvenuta nella provincia di Logar. Il loro convoglio è stato colpito da un gruppo di uomini armati, probabilmente talebani. Secondo le organizzazioni non governative, solo nel 2008 sono state 19 le vittime che appartenevano alle ONG.

Pakistan
Nuova escalation di violenza in Pakistan all’indomani dell’uccisione di Abu Said al Masri, leader di Al Qaeda nel Paese. Almeno dieci miliziani hanno perso la vita in un raid aereo, probabilmente condotto dagli Stati Uniti, nel distretto tribale del Waziristan, al confine con l’Afghanistan. Intanto, a livello politico, il presidente Musharraf sembra sempre più in difficoltà; anche l'Assemblea della provincia del Sindh ha approvato la risoluzione per chiedere al capo dello Stato di presentarsi in Parlamento e chiedere la fiducia. Nei giorni scorsi, stessa cosa avevano fatto altre due province: il Punjab e la North West Frontier Pronvince. Fonti di stampa hanno inoltre rivelato che Musharraf è pronto a presentare le sue dimissioni all’indomani della festa dell’indipendenza pachistana, il 14 agosto. Sembra che il presidente, prima di formalizzarle, abbia chiesto la possibilità di fare un discorso alla nazione.

Terrorismo-CIA
L’intelligence americana ha lanciato un allarme perché Al Qaeda, in Pakistan, starebbe reclutando e addestrando nuovi terroristi in grado di colpire l’Europa e gli Stati Uniti. Secondo la CIA, c’è un reale pericolo soprattutto durante le future elezioni presidenziali negli USA.

Iraq
Non cessa la violenza in Iraq. Un’autobomba, saltata in aria a Mossul, ha provocato la morte di due civili iracheni; sempre nella stessa zona, un’altra persona è stata uccisa nel corso di duri scontri tra forze di sicurezza e gruppi armati. A Kirkuk, il leader di un consiglio popolare che si batte contro il terrorismo, è rimasto ferito insieme con le sue tre guardie del corpo dall’esplosione di un’autobomba. Intanto, aumentano le perdite nelle file dell’esercito americano; ieri un militare ha perso la vita ed altri due sono rimasti feriti nell’attacco al loro convoglio avvenuto nella provincia sunnita di Al Anbar, ad ovest di Baghdad.

Filippine
Dopo quattro giorni di offensiva militare, l’esercito delle Filippine è riuscito a riconquistare tutti i villaggi del'isola di Mindanao occupati dal Fronte islamico di liberazione Moro. Sul terreno, si registrano oltre 30 ribelli uccisi e almeno 160 mila profughi scappati dalle loro case nel corso dei combattimenti. La nuova ondata di violenze è scattata dopo che la Corte suprema ha sospeso l’accordo tra il governo ed il Fronte islamico per la creazione di una regione autonoma islamica a Mindanao. Accordo molto contestato sia dalle comunità cristiane sia da quelle musulmane come ci spiega, al microfono di Marco Guerra, il fondatore del movimento filippino per il dialogo interreligioso, padre Sebastian D’Ambra:RealAudioMP3

R. - Innanzitutto, non c’è stata molta consultazione in questa fase, e adesso che è venuta fuori questa dichiarazione, diversi leader - sia religiosi sia del governo - hanno avanzato le loro riserve. Alcuni addirittura in un modo molto forte: ci sono state anche delle dimostrazioni in diverse zone. Non c’è stata la consultazione che ci dovrebbe essere. E’ un accordo importante e coinvolge un po’ Mindanao, ma alla fine coinvolge un po’ tutte le Filippine per le ripercussioni. Praticamente, l’intesa è stato fatta tra il governo e i rappresentanti del Moro Islamic Liberation Front.

 
D. – Dopo quarant’anni di conflitto tra le forze governative e i guerriglieri islamici, come sono i rapporti tra la comunità cattolica e quella musulmana nel Mindanao?

 
R. – I rapporti sono buoni in generale, ma non in tutte le zone; ci sono diversi sforzi di pace, di dialogo, a tutti i livelli. Questi creano un’atmosfera positiva, però tutto questo purtroppo non basta per mettere da parte i pregiudizi che ci sono stati e continuano ad esserci. Questa guerra, da 40 anni, è una storia triste con tante violenze da una parte e dall’altra. C’è bisogno di tanto lavoro di riconciliazione, di buona volontà.

 
D. – A seguito di quattro giorni di violenti combattimenti, oltre 160 mila persone hanno lasciato le loro case; come si sta affrontando l’emergenza profughi?

 
R. – In quella zona, la zona di Cotabato, la gente purtroppo ha lasciato le case più volte in questi anni di conflitto e i rifugiati si sono riversati nelle scuole, nelle parrocchie, o in aree dove le persone si sentono più sicure. So che ci sono alcune agenzie che già si stanno mobilitando per aiutare; però è sempre una situazione difficile, specialmente in alcune zone dove piove.

 
Zimbabwe
Dopo quattro giorni di colloqui tra il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe e i leader dell'opposizione, ieri sera è stato raggiunto, sotto l'egida del presidente del Sudafrica Mbeki, un accordo per un governo di coalizione tra Mugabe ed una fazione dell'opposizione guidata da Mutambara. La principale corrente del Movimento per il cambiamento democratico (MDC) di Morgan Tsvangirai, la più critica contro Mugabe, ha chiesto invece un 'periodo di riflessione'. Il presidente sudafricano Mbeki, ha intanto lasciato Harare. (Panoramica internazionale a cura di Benedetta Capelli e Marco Guerra)
 
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 226

 
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