La Georgia firma la tregua, ma la Russia pone condizioni per fermare i bombardamenti
Sono giunti a Roma i centodieci italiani, tra i quali 15 bambini, che ieri hanno
lasciato la Georgia proprio a causa del precipitare della situazione. Due C-130 dell'Aeronautica
Militare italiana, atterrati stamani a Roma-Ciampino, hanno ricondotto in patria il
gruppo in fuga dai combattimenti, ai quali si sono aggregati altri 20 cittadini dell’Unione
Europea. Per noi a Ciampino c’era Massimiliano Menichetti:
Villaggi
distrutti, morti e feriti: è questo lo scenario 'disegnato' dal gruppo rientrato con
due C-130 dell’Aeronautica militare oggi a Ciampino. Sono fuggiti da Tblisi, passando
per l’Armenia in pullman, poi l’imbarco verso l’Italia. Oltre ai 110 cittadini italiani,
anche altri venti cittadini dell’Unione Europea che sono stati aiutati dall’ambasciata
italiana a lasciare il Paese, ad attendere tutti i familiari, insieme con una fitta
schiera di giornalisti. Tra chi è tornato, anche i georgiani con la cittadinanza italiana;
qui si sono divisi gli stati d’animo tra chi vive lo strappo di aver lasciato i propri
cari in una situazione drammatica e chi è scappato dalla guerra tornando a casa. La
testimonianza di una donna georgiana:
“C’è la guerra,
muoiono i bambini, sono migliaia i feriti. La città di Gori non esiste più, Tskhinvali
non esiste più. Le periferie di Tblisi dove c’erano le basi militari non esistono
più, le hanno bombardate”.
‘Ci sentivamo
in trappola, le notizie si accavallavano’. I più preoccupati erano gli stranieri,
mentre la gente del posto tendeva a rassicurarci. E’ il racconto di Franco De Marco,
giornalista del messaggero di Ascoli approdato anche lui a Ciampino dopo essersi recato
a Tblisi dove si trovava in vacanza con la moglie e alcuni amici. Altri hanno raccontato
di una città silenziosa, irreale:
“Eravamo in vacanza:
nella capitale non c’era questo clima di grande tensione. Tuttavia abbiamo visto contigenti
militari, ragazzi di 18 anni, persone fino ai 45 anni che venivano continuamente portate
via con autobus di linea. La città che solitamente è sempre piena di persone, i ristoranti
erano vuoti. La sensazione che si avvertiva era un po’ di tensione”.
Confermati
i bombardamenti sulla periferia della capitale georgiana, le difficoltà di collegamento
con le altre località, la paura. Ovviamente, tutti sperano che le violenze cessino
presto. Drammatica la testimonianza di una ragazza, sposata con un italiano, fuggita
dal proprio Paese poche ore dopo il suo matrimonio:
“Dovevamo sposarci
e battezzare la bambina. Però noi siamo nell’ovest della Georgia e non ce l’abbiamo
fatta ad andare lì. Così non ho visto i miei genitori e nessuno. Ci siamo sposati
in chiesa in fretta e furia la mattina a mezzogiorno. Alle cinque siamo partiti per
l’Italia, ma volevamo battezzare la bambina in chiesa...”.
Nel
Caucaso è drammatica la situazione dei profughi: secondo la Croce Rossa Internazionale,
gli sfollati sono almeno 40 mila. Sulla situazione dei profughi in Georgia ascoltiamo,
al microfono di Amedeo Lomonaco, Giulia Laganà, dell’Ufficio Stampa
dell’ACNUR, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati:
R.
- La situazione, al momento, è abbastanza confusa e le informazioni in nostro possesso
non sono molto precise per quanto riguarda il numero di persone costrette a fuggire
dalle proprie case, sia verso l’Ossezia del Nord sia dall’Ossezia del Sud, dove si
svolgono i combattimenti. Altri poi fuggono dall’Ossezia del Sud verso le altre località
della Georgia. Quello che sappiamo, da quello che riferiscono le autorità è che si
tratta di parecchie migliaia di persone sia verso nord che verso sud. Le nostre attività,
per il momento, si sono limitate ad offrire ai governi della Federazione Russa e della
Georgia la nostra disponibilità ad entrare in azione e ad offrire assistenza umanitaria.
Finora, i governi non ci hanno chiesto aiuto e noi comunque siamo pronti con una serie
di kit di emergenza, soprattutto per quanto riguarda gli alloggi e i ripari di emergenza;
si tratta di beni non alimentari che vengono invece forniti dal PAM, il Programma
Alimentare Mondiale.
D. - Per aiutare le persone
in fuga dagli scontri l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha
chiesto la creazione di un corridoio e un accesso umanitario in Ossezia del Sud...
R.
- Ieri l’Alto commissario Antonio Guterres ha chiesto ai governi sia della Federazione
Russa che della Georgia di aprire due corridoi umanitari: uno verso nord, in Ossezia
del nord, e uno verso sud, in Georgia. In tarda serata i governi hanno risposto positivamente.
Sono stati aperti questi corridoi umanitari che permetteranno sia alla popolazione
civile di fuggire verso luoghi più sicuri, sia agli operatori umanitari di avere accesso
a queste persone in condizioni di incolumità, garantendo anche che non vengano feriti
o uccisi operatori umanitari e anche giornalisti.
D.
- Per rendere virtuosi questi corridoi è essenziale che le parti rispettino i principi
umanitari e garantiscano la sicurezza della popolazione. In questo senso avete delle
rassicurazioni?
R. - I governi hanno offerto rassicurazioni.
Resta da vedere se le parti in causa rispetteranno questi principi; noi ovviamente
ce lo auguriamo. La situazione, certo, è molto difficile, anche perchè le parti in
causa sono più d’una, vi sono anche ribelli separatisti in gioco, quindi ci auguriamo
che tutti rispettino questi principi e questa promessa di garantire l’incolumità dei
civili e degli operatori umanitari. Noi, come ACNUR, abbiamo sei uffici in Georgia
e siamo responsabili per una popolazione che già prima della guerra oscillava sulle
275 mila persone tra sfollati interni e rifugiati. E’ una situazione pregressa, molto
complessa nella zona del Caucaso.
D. - Cosa può determinare
l’eventuale ingresso nel conflitto anche dell’Abkhazia?
R.
- Questo procurerebbe un ulteriore numero di rifugiati e di sfollati verso la Georgia
e verso altre regioni della Federazione Russa. Noi ci auguriamo che il conflitto non
si estenda e non si acuisca, soprattutto per quanto riguarda questi civili già duramente
provati da decenni di conflitti e di situazioni di sradicamento. In tutte queste repubbliche
autonomiste o regioni della Georgia, dei Paesi confinati della Federazione Russa,
ci sono consistenti popolazioni che sono rifugiate ormai da 15 anni o anche di più.
Un ulteriore sfollamento sarebbe per loro un trauma e un’ulteriore difficoltà in una
situazione già molto difficile.