2008-08-09 15:30:44

Giornata internazionale dei popoli indigeni


Oggi è la Giornata internazionale dei popoli indigeni, indetta nel 1994 dall’ONU per porre fine all’emarginazione di queste popolazioni. Una ferita aperta soprattutto in Brasile, dove gli indigeni sono circa 700 mila e continuano ad essere perseguitati. Nel codice etico dei nativi americani c’è scritto: “La sofferenza di qualcuno è la sofferenza di tutti; la gioia di qualcuno è la gioia di tutti”. Problemi che queste popolazioni devono affrontare, oggi, sono ancora molti, come racconta, al microfono di Roberta Barbi, mons. Moacyr Grechi, arcivescovo di Porto Velho, capitale dello Stato del Rondônia:RealAudioMP3

R. - Alcuni lottano per la demarcazione definitiva della propria terra. Altri lottano per la sopravvivenza, perché perdendo la terra hanno perso anche la voglia di vivere: non si sentono né bianchi, né indigeni, e i giovani allora si suicidano. Direi che il problema è garantire dal punto di vista legale per quelle aree indigene che non sono state totalmente legalizzate; una volta legalizzate, bisogna dare la forza, la protezione, perché siano rispettate nei loro beni, nella loro cultura, nelle loro necessità.

 
D. – Che responsabilità ha la comunità internazionale nella continua emarginazione delle popolazioni indigene?

 
R. – La responsabilità è morale, perché dal punto di vista legale alcuni organismi internazionali possono intervenire solo nel caso in cui ci sia una distruzione in massa di tutto un popolo.

 
D. – Finalmente, dopo anni di appelli nel settembre del 2007 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni. Cos'è cambiato in un anno in Brasile, dove gli indigeni sono circa 700 mila?

 
R. – La situazione varia a seconda dei gruppi. Per alcuni, le cose sono migliorate, ma la maggioranza, nella nostra regione, viene sfruttata. Non credo che ci siano stati grandi progressi.

 
D. – Come mai questo ritardo nell’approvazione della dichiarazione? A chi dà fastidio che gli indigeni godano del diritto all’autodeterminazione fondamentale per ogni popolo?

 
R. - C’è una parte ideologica, che è molto legata ai militari, che dice che se nel nord ci fossero soltanto popoli indigeni ci sarebbe il rischio di perdere i territori confinanti con altri Paesi. Inoltre, c’è il problema di quelli che vogliono sfruttare la terra. Adesso, per esempio, nella regione di Roraima i produttori di riso hanno preso impropriamente la terra, in quanto non l’hanno comprata: producono molto riso a prezzo basso e così fanno una fortuna.

 
D. – Il 2008 è anche l’anno internazionale delle lingue. Di quelle parlate nel mondo la maggior parte sono indigene, ma stanno scomparendo. Cosa si può fare per salvarle?

 
R. – Io vedo che quelli che lavorano e che sono legati alla Chiesa cattolica cercano di fare in modo che gli indigeni parlino la loro lingua; nel contempo, se non lo sanno, fanno on modo che imparino anche il portoghese, utile per il dialogo e per non essere ingannati. Ma le scuole insegnano in lingua indigena. Un aspetto molto positivo del lavoro che sta facendo questa commissione della Chiesa è principalmente quello che gli indigeni si sentano orgogliosi di essere indigeni e che non si vergognino più di esserlo.







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