Nuovi sbarchi a Lampedusa. L’arcivescovo di Agrigento: no a risposte repressive
Proseguono senza sosta i viaggi della speranza degli immigrati irregolari lungo le
rotte del Mediterraneo. Questa mattina sono sbarcati a Lampedusa i 21 superstiti del
naufragio di ieri nel Canale di Sicilia che è costato la vita a sette persone. E altre
tre "carrette del mare" con a bordo 170 persone, tra cui anche minori, stanno facendo
rotta a Lampedusa scortate da una nave della Marina militare. E’ una situazione, quella
di tanti stranieri in cerca di migliori condizioni di vita che - secondo l’arcivescovo
di Agrigento mons. Francesco Montenegro - dovrebbe sollecitare la solidarietà
di tutti. Ascoltiamolo al microfono di Federico Piana:
R. - Il Mediterraneo
ormai sta diventando una ‘tomba liquida’ dove non si possono più contare i morti.
Credo sia necessario formare la coscienza per l’accoglienza: non possiamo chiudere
gli occhi. Se ci fosse una cultura dell’accoglienza, forse insieme potremmo trovare
qualche risposta diversa da quelle di adesso. Le risposte non possono essere quelle
della polizia.
D. - Secondo lei dobbiamo uscire da
questa logica di emergenza e adottare delle politiche più strutturali?
R.
- Ritengo di sì, anche perché credo che solo il 13 per cento di tutti gli immigrati
che giungono in Italia arriva con i barconi. Non è ‘l’invasione dei barbari'. Sono
dei numeri alti e pesanti purtroppo ma devono farci riflettere: potrebbero esserci
altre risposte. Non dobbiamo creare paure inutili, ma dobbiamo attrezzarci perché
la convivenza diventi possibile. Dovrebbe migliorare il rapporto tra chi governa e
le associazioni che operano come volontariato, come ONG. Se si crea un rapporto più
stretto può darsi che confluiscano tante idee nuove e diverse; se ci nascondiamo dietro
le idee di 'emergenza', di 'invasione', e se le associazioni non vengono coinvolte
nella gestione del significato di accoglienza, faremo sempre discorsi separati.
La
vicenda ha creato preoccupazione nell’opinione pubblica in particolare per la decisione
del governo di decretare lo stato d’emergenza in Italia. Sul perchè di questa scelta
ascoltiamo il parere di Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato ONU
per i rifugiati, intervistata da Federico Piana:
Purtroppo
dichiarare lo stato d’emergenza è un passaggio obbligato per accedere a questi fondi
che mancano nella legge di bilancio, perchè non è stata prevista questa situazione.
Si arriva, però, a creare confusione perché dichiarare lo stato d’emergenza, se non
viene spiegato molto bene e senza demagogia, porta la gente a pensare ad un assedio,
a un’invasione. C’è un aumento, ma che non è tale da giustificare tutta questa paura.
Nel 2007, in tutto l’anno, sono arrivate 20 mila persone e quest’anno fino a giugno
ne sono arrivate 11 mila, nei primi 6 mesi dell’anno. Questo significa che c’è stato
un certo aumento ma non è un aumento che ci deve far sentire tutti sotto assedio;
altrimenti, si crea tensione, si crea una situazione di panico generalizzato. Dal
nostro punto di vista, bisogna fare attenzione nella comunicazione sia istituzionale
che nella comunicazione dei media. La vera emergenza è quella della gente che muore
in mare e finora non sono state date delle risposte adeguate. E’ un’emergenza che
sembra, anzi, molto sottovalutata e alla quale ci si sta abituando tutti. Bisognerebbe
fare ogni sforzo per riuscire a far sì che questi numeri così impressionanti di chi
muore nel tentativo di attraversare il canale di Sicilia possano essere più contenuti.
Mi sembra che si faccia più attenzione al numero delle persone vive che arrivano.