Mons. Tomasi: il fallimento del vertice dell'OMC danneggia i Paesi poveri
Clamoroso fallimento del vertice dell'Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC).
Dopo nove giorni di riunioni, l’incontro si è concluso, ieri a Ginevra, con un sostanziale
fallimento in merito alle misure soprattutto a favore dei Paesi in via di sviluppo,
da adottare nei settori dell’agricoltura e dei dazi doganali. Il direttore dell'OMC,
Pascal Lamy, ha sottolineato le divergenze in particolare tra i colossi asiatici,
Cina e India, e Stati Uniti. Sulla conclusione negativa del negoziato Giancarlo
La Vella ha sentito Adriana Cerretelli, esperta di economia internazionale
del Sole 24 Ore:
R. – Il round
è saltato perchè l’ingresso dei nuovi colossi asiatici e soprattutto della Cina ha
fatto in modo di non facilitare il mercanteggiamento tra i vari interressi sul tavolo,
come il caso della liberalizzazione dei mercati che i Paesi in via di sviluppo sarebbero
stati disposti a fare a favore di alcune economie industrializzate. Hanno creato invece
delle resistenze nel momento in cui la Cina, che è un Paese che ha una esportazione
molto aggressiva e a basso costo, rischia di far saltare totalmente le loro economie
di sviluppo. E questo vale per l’industria, vale per l’agricoltura. Il negoziato si
è scoperto, quindi, molto vulnerabile a dei giochi di potenza nuovi che rendono più
difficile mettere insieme le tessere di questo enorme puzzle. Non dimentichiamo che
l'OMC è formato da ben 153 Paesi e che le decisioni vanno prese all’unanimità. Si
tratta, quindi, veramente di un negoziato globale senza precedenti nel mondo.
D.
– Qual è la via per riprendere il dialogo, soprattutto con i colossi asiatici?
R.
– Credo che il multilateralismo, così come ha funzionato finora, probabilmente va
ripensato, perchè è scandaloso che il “Doha round” sia durato sette anni, così come
il “Paraguay round” che fu il negoziato precendente durò lo stesso tempo. Anche perchè
i benefici di oggi, magari fra 5 anni o 10 anni non hanno lo stesso peso e lo stesso
valore e soprattutto per i Paesi più poveri. Uno dei paradossi di questo negoziato
è stato che i Paesi più poveri non hanno nemmeno visti affrontati, nel negoziato di
questi ultimi giorni, i loro problemi: dal cotone agli accessi ai mercati liberi da
tariffe e da quote. Sono molto delusi e giustamente!
La
mancanza di un accordo finale dopo sette anni di negoziati ha lanciato una serie di
polemiche a livello internazionale tra i sostenitori di un accordo a tutti i costi
e coloro che ritengono ancora necessario proseguire nel negoziato. Resta comunque
in molti la sensazione che sia stata persa un occasione per ridurre il disequilibrio
tra Paesi poveri e Paesi ricchi. Stefano Leszczynski ha raccolto il commento
di mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso
l’Ufficio ONU di Ginevra.
R. - Anche
se ha portato dei benefici, perché sono stati raggiunti vari accordi, non si è arrivati
a una conclusione finale. Questo fallimento comporta davvero delle conseguenze importanti
sia per l’aspetto del sistema multilaterale, sia per i Paesi in via di sviluppo, che
si troveranno ancora isolati dall’accesso ai mercati. In questo modo le disuguaglianze
che esistono fra Paesi ricchi e Paesi poveri, che non possono essere colmate semplicemente
dall’aiuto che viene dato ma per cui deve essere trovato un meccanismo più equo di
partecipazione, non si risolveranno.
D. – Quello
che colpisce è l’aspetto etico, il persistere di egoismi nazionali. E fa ancora più
impressione che questi egoismi, oltre che provenire da Paesi già ricchi, provengono
anche da Paesi in via di forte sviluppo, le nuove “tigri” dei mercati globali...
R.
- Ci sono vari livelli che dovrebbero essere analizzati per capire il fallimento di
questi negoziati. Ci sono delle ragioni politiche e tecniche, c’è l’interesse immediato
dovuto al commercio e all’accesso da parte di alcuni ai mercati più appetitosi. E’
certo che in questa situazione le nuove potenze economiche emergenti hanno fatto sentire
la loro voce in maniera decisiva, per ragioni legate anche alle loro politiche interne.
Quindi, ci troviamo di fronte una situazione nuova. Nello scacchiere mondiale ci sono
forze e Paesi che devono essere non solo presi in considerazione ma che devono anche
sentire una responsabilità particolare verso i Paesi più poveri.
D.
– Eccellenza, lei faceva riferimento anche a questioni tecniche. Sarebbe necessario,
secondo lei, per la comunità internazionale ripensare un metodo per prendere le decisioni...
R.
– Lo statuto dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio dice che ci deve essere
un consenso per le decisioni che vengono prese. La situazione dentro l’Organizzazione
Mondiale per il Commercio si è complicata moltissimo perché negli ultimi anni sono
diventati membri molti Paesi poveri e in via di sviluppo. La situazione oggettivamente
è molto complessa, però questo non vuol dire che si deve rinunciare al negoziato multilaterale
o che bisogna fare in modo che un piccolo gruppo possa parlare per tutti i Paesi perché
in questo modo gli interessi dei Paesi più deboli non verrebbero adeguatamente rappresentati.
Sarebbe, invece, da mettere in pratica il regolamento che fa prendere le decisioni
per consenso, in modo che tutti possano veramente partecipare in maniera efficace
a prendere le decisioni che interessano tutta la comunità globale.