Due settimane di tempo è il termine dato all’Iran dal segretario di Stato USA, Condoleezza
Rice, per rispondere seriamente alla proposta di sospendere la propria attività nucleare.
Il capo della diplomazia statunitense non ha escluso “misure punitive”. Solo lo scorso
fine settimana si erano svolti i colloqui a Ginevra tra i sei Paesi negoziatori e
una delegazione di Teheran. L’Iran ha parlato di progressi ed ha avuto parole positive
nei confronti di Washington, mentre il rappresentante per la politica estera dell’Unione
Europea, Solana, ha mostrato un certo scetticismo. Intanto, la Turchia ha reso noto
che è stata chiamata in causa per agevolare i colloqui tra le parti. “Un ruolo di
consolidamento e facilitazione”, ha dichiarato il ministro degli Esteri, Ali Babacan.
Per un bilancio della situazione, ecco l'opinione del giornalista iraniano Ahmad
Rafat, vice direttore di "AdnKronos International". L’intervista è di Stefano
Leszczynski: R. – E’ un
passo in avanti dal punto di vista del governo iraniano in quanto è riuscito ad acquistare
qualche settimana di tempo. La presenza americana è un fatto importante ed è anche
un fatto che viene interpretato da alcuni come negativo, in quanto sostengono che
William Burns sia là per controllare Solana e per impedire che il fronte europeo ceda
davanti ad un dato di fatto, cioè che il Paese ormai è una potenza nucleare e che
non tornerà mai indietro. D. – Gli Stati Uniti hanno detto agli
iraniani: “Rispettate le due settimane di scadenza per dare una risposta o scatteranno
altre sanzioni”. Questo non è un segnale rilassante... R. –
Credo che l’Iran sia pronto ad accettare un’escalation delle sanzioni, mentre è preoccupato
per un’eventuale azione militare che potrebbe venire non dagli Stati Uniti, ma piuttosto
da Israele. D. – Gli Stati occidentali, il gruppo dei cinque
più uno, e così anche l’Unione Europea, hanno messo sul tavolo una serie di offerte
economiche anche di cooperazione se l’Iran dovesse recedere dal proprio programma
nucleare... R. – E’ vero che l’Iran è in una situazione difficile,
ma non si tratta di un Paese povero, perché ha un surplus sul prodotto, grazie all’aumento
del prezzo del petrolio, enorme. Quello che pesa sull’economia iraniana è la mancanza
di una politica economica e questo non si risolve con un eventuale aiuto straniero
e nemmeno con l’ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio, che è una delle
richieste iraniane.