Il Sudan respinge la richiesta d'arresto del presidente Bashir avanzata dal Tribunale
dell'Aja
Il Sudan respinge con durezza la richiesta di mandato d’arresto per crimini di guerra
nel Darfur, formulata ieri dal procuratore del Tribunale Penale Internazionale dell'Aja,
Moreno Ocampo, nei confronti del presidente Omar al Bashir, da 19 anni alla guida
del Paese africano. Sulla richiesta dovrà esserci ora il pronunciamento della Camera
della Corte per le istanze preliminari che arriverà entro i prossimi due-tre mesi.
Intanto, già si delinea una spaccatura in seno alla comunità internazionale. L’ONU
- che ha già avviato il trasferimento di 200 operatori - e diversi Paesi occidentali
esprimono preoccupazione per l'impatto che questa situazione può avere sui civili
e i volontari in Darfur. L’Unione Africana, la Cina e la Lega Araba ritengono inoltre
che il mandato d’arresto possa compromettere la stabilità politica della regione.
Sulle accuse di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità nei confronti del
presidente sudanese Al Bachir, Giada Aquilino ha intervistato Massimo Alberizzi,
africanista del Corriere della Sera:
R. - I
Janjaweed, i “diavoli a cavallo” che terrorizzano i villaggi e le popolazioni civili,
che bruciano le capanne, che violentano le donne e schiavizzano i bambini, sono milizie
organizzate di fatto dal governo. Peraltro, uno degli stessi capi delle milizie, che
avevo intervistato tempo fa, aveva detto chiaramente: “Il governo ci finanzia”. E
non solo. Aveva detto anche: “Se il governo prova a smantellarci, smantelleremo noi
il governo”.
D. - Secondo l’alto magistrato, Al Bashir
aveva un piano politico per distruggere gruppi etnici del Darfur. Perché?
R.
- C’è una differenza etnica molto forte tra gli arabi che governano il Paese e i musulmani
di origine africana, che invece vivono in Darfur e che sono le popolazioni autoctone.
E’ un conflitto che si protrae da parecchi anni perché la desertificazione ha fatto
scendere le popolazioni arabe nomadi verso sud, dove invece ci sono le popolazioni
di origine africana, che sono contadini stanziali. A questo punto, quattro o cinque
anni fa è scoppiata la rivolta di tali popolazioni e per domare la rivolta è stata
organizzata una “controrivoluzione”, che però ha riguardato tutti, anche le popolazioni
civili. Questa non è stata indirizzata contro i miliziani del Sudan Liberation Army
(SLM) o del Justice and Equality Movement (JEM).
D.
– Al Bashir sostiene che la Corte dell’Aja non ha giurisdizione in Sudan. Cosa succederà
adesso?
R. – La Corte ha giurisdizione universale.
È il Sudan che non ha firmato il Trattato di Roma nel 1998. Ricordo benissimo che
in quell’aula della FAO, a Roma, sette Paesi si schierarono contro, tra cui il Sudan,
gli Stati Uniti, la Cina, la Libia. Ma non avere sottoscritto il Trattato, che poi
peraltro è stato firmato e ratificato da 106 Paesi, non vuol dire che la Corte penale
non abbia giurisdizione.
D. – Quali ripercussioni
ci saranno sul terreno?
R. – Quello che ci si può
aspettare è una ritorsione del governo sudanese, che non vuol dire necessariamente
una ritorsione violenta. Ma, per esempio, vuol dire non far viaggiare più i funzionari.
In Sudan ci vogliono i permessi di viaggio: per andare in Darfur è sempre un calvario.
Quindi, ci sono molteplici ostacoli per impedire ai funzionari delle Nazioni Unite
di lavorare. Consideriamo che di ostacoli ce ne sono molti già tutti i giorni. Anche
per esempio la distribuzione del cibo è molto complicata e difficile.