Sydney sempre più capitale della gioventù mondiale: all’aeroporto, gruppi di giovani
accolgono con canti e balli i coetanei in arrivo. Le loro testimonianze
E intanto le regazze e i ragazzi che dai vari continenti continuano a riversarsi su
Sydney stanno ormai progressivamente catalizzando l’attenzione della metropoli. Alcuni
di loro, come detto, si danno il cambio, lungo tutto l’arco della giornata, per ricevere
con un canto e un sorriso i coetanei in arrivo dagli altri Paesi. Il nostro inviato,
Roberto Piermarini, li ha raggiunti per raccogliere le loro testimonianze:
Ci troviamo
all’aeroporto internazionale di Sydney dove stanno arrivando i gruppi da tutte le
parti del mondo. C’è un gruppo di giovani del Cammino Neocatecumenale qui in Australia
con la missione di accogliere cantando i giovani che arrivano dalle varie parti del
mondo. Tra loro, abbiamo chiamato Gabriele Turchi, uno di quelli che sta facendo questo
servizio: un servizio molto bello perché i giovani sono contentissimi di essere ricevuti
a Sydney da altri giovani che, cantando, li accolgono in festa. R.
- E’ un’esperienza meravigliosa, perché qui in Australia non siamo tantissimi e far
vedere ai ragazzi questi fratelli che vengono dall’estero è stupendo. Arrivano da
un viaggio di 24 ore e ci trovano fuori con icone, chitarre, che cantiamo per dare
loro il benvenuto. E loro si uniscono a noi, ballando, a volte anche per 20 minuti,
mezz’ora, con gli assistenti che cercano di portarli via con i loro pullman, e loro
che invece vogliono rimanere e continuare a ballare. E’ veramente un momento di festa
e gioia per tutti quanti. D. - Cosa dicono gli addetti dell’aeroporto
di questa esperienza nuova per loro, perchè non sono abituati a vedere persone che
scendono dall’aereo e vengono accolte in questa maniera? R.
- Gli addetti ai lavori, specialmente i volontari del pellegrinaggio, del World Youth
Day, aspettano che noi arriviamo la mattina perché diamo un po’ di vita a tutto l’aeroporto.
Appena ci vedono, vengono subito a ballare con noi. Chiedono se possiamo cantare “Resuscitò”,
se possono ballare con noi, se possono battere le mani. Fanno spostare la gente per
crearci spazio, per poter fare i balli. Alcuni dicono che aspettano di venire a lavorare
per poterci sentir cantare. Ci sentiamo in comunione con tutti. Anche la polizia ci
lascia fare quello che vogliamo. Anzi, un poliziotto ieri ci ha detto che è rimasto
molto sorpreso, perché questo pellegrinaggio si è dimostrato una manifestazione di
pace e amore. D. - Quali turni di lavoro avete fatto in questo
tempo, se possiamo chiamarli così? R. - Noi ci svegliamo la
mattina alle 5, e facciamo tre turni: dalle 6 a mezzogiorno, da mezzogiorno alle 18,
e dalle 18 a mezzanotte, 24 ore su 24. D. - Ecco l’esperienza
di un altro giovane. Come ti chiami? R. - Mi chiamo Paolo. D.
- Che esperienza hai fatto nell’accogliere questi giovani che vengono da tutto il
mondo all’aeroporto internazionale di Sydney? R. - Per me, è
stata una cosa fantastica vedere tutti questi giovani che arrivano a Sydney, in un’isola
deserta, dove la religione non è una cosa molto importante. Per me è stato fantastico,
per cambiare davvero il modo di vivere. D. - Sara, che esperienza
è stata vedere in viso questi giovani che arrivano, stravolti dal viaggio? Che esperienza
hai fatto in questo tuo servizio di accogliere questi giovani che vengono da tutto
il mondo? R. – Ieri, siamo stati all’aeroporto per sei ore e
abbiamo aspettato quelli del Cammino che non sono venuti. Ma, alla fine, anche abbiamo
aspettato sei ore, abbiamo cantato, abbiamo ballato, ed eravamo tutti felicissimi
perché siamo rimasti tutti in comunione. Per me è stata un’esperienza bellissima e
anche se non c’è stata quella soddisfazione di vedere arrivare chi aspettavamo, siamo
stati bene comunque. Per me è stato bellissimo, perché siamo stati in comunione tra
di noi, con questa gioia, in attesa di questo pellegrinaggio. D.
- Che significa, secondo te, per i giovani australiani assistere a questa accoglienza
da parte di altri giovani? R. - E’ bello notare le facce della
gente all’aeroporto in attesa di persone che magari non vedono da tanto tempo. Hanno
il viso pieno di gioia. E poi, sì, ci siamo noi che abbiamo creato un caos. Appena
arrivano i ragazzi del pellegrinaggio basta uno sguardo e c’è già intesa. Ci uniamo
tutti in un canto, in un ballo. C’è una gioia comune a tutti, che va oltre un’affettività
o la mancanza di non aver trovato qualcuno. I ragazzi australiani hanno proprio bisogno
di vedere questo: che possiamo amarci ed accoglierci in questo modo, perché l’abbiamo
imparato da Dio.
L’ultimo messaggio di Benedetto XVI, come pure gli altri
suoi riferimenti dedicati a vario titolo alla GMG negli ultimi tempi, costituiscono
per i giovani uno spunto serio di riflessione spirituale e umana. Il nostro inviato,
Roberto Piermarini, ne ha parlato con alcuni ragazzi incontrati a Sydney: D.
- Ti aspettavi una risposta così grande da parte di tanti giovani venuti qui in Australia
o pensavi che, anche per motivi di costi o altro, ne sarebbero venuti meno? R.
- Avendo già l’esperienza di altri pellegrinaggi, posso dire che si vede che c’è uno
spirito che a questi giovani piace, uno spirito di unione da tutte le parti del mondo.
Vengono qui in Australia da molti Paesi e sono felici, si vede che è importante per
loro venire qui. E se vengono da 24 ore di volo con questa voglia, noi non possiamo
fare altro che accoglierli con amicizia. D. - Nel Messaggio
di quest’anno per la GMG, Benedetto XVI dice che sono i coetanei che devono evangelizzare
gli altri giovani. Tu che ne pensi? R. - Per me è una frase
molto forte. E quello che mi piace finora di questa GMG è il fatto che noi possiamo
accogliere le persone da tutto il mondo, come la Chiesa vuole accogliere tutti in
Australia, specialmente in questo tempo. Quando qualcuno viene in Australia, dopo
aver viaggiato da Roma, questo posto è come un deserto, non c’è nessuno. Invece, la
Chiesa viene ad accogliere tutti. D. - I tuoi coetanei che non
frequentano la Chiesa o sono lontani, che cosa dicono di questo pellegrinaggio? R.
- Non ne capiscono molto, però sanno che c’è qualcosa. Questo li risveglia, li fa
pensare: cosa c’è di così bello? Perché mezzo milione di persone vengono a vedere
un uomo vestito di bianco? Forse non capiscono niente, ma avvertono c’è qualcosa.
E questa domanda può far sviluppare qualcosa di bellissimo.