Polemiche e prese di posizione sul caso di Eluana Englaro. L'opinione di Domenico
Delle Foglie
“Capisco la sofferenza del padre. Voglio che sappia che gli sono vicino con le mie
preghiere. Ma non capisco che si possa desiderare di porre fine alla vita di sua figlia”.
Sono le parole di Bobby Schiavo, fratello di Terry, la donna americana morta nel marzo
2005 dopo che i giudici avevano ordinato di interrompere l'alimentazione artificiale:
un esito che ora potrebbe coinvolgere anche Eluana Englaro, dopo che ieri i giudici
della corte d'Appello civile di Milano hanno autorizzato la sospensione dell’alimentazione
forzata che da 16 anni tiene in vita la donna. Molte le prese di posizione che in
queste ore hanno riacceso in Italia il dibattito sulla liceità di una simile decisione.
Al microfono di Emanuela Campanile,il giornalista e portavoce dell’Associazione
“Scienza e vita”, Domenico Delle Foglie, si rifà proprio al precedente di Terry
Schiavo:
R. - Ci troviamo
nella stessa condizione: cioè, sostanzialmente, alla decisione di un tribunale di
togliere l’essenziale per vivere. E’ una condanna a morte per fame e per sete.
D.
- Che precedente creerebbe?
R. - Ci troviamo dinanzi
ad una situazione del tutto nuova, quella che oggi fa gridare alla vittoria una parte
del mondo, che è soprattutto legata all’orizzonte dell’autodeterminazione, della libertà
assoluta, della possibilità di decidere sul proprio destino. Abbiamo di fronte a
noi uno scenario nel quale questi casi si potranno ripetere, anche se il mio pensiero,
questa mattina, va alle migliaia di casi che ci sono in Italia: migliaia di casi nei
quali le famiglie hanno scelto la strada della vita. Quindi, come dire, è una prassi
consolidata, in un certo modo, di rapportarsi di una parte dell’opinione pubblica,
rispetto a questo tema: il creare un caso, creare le precondizioni attraverso una
sentenza di un magistrato, per aprire la strada a qualcos’altro. Ed è questo qualcos’altro
che preoccupa e che emerge in maniera molto chiara dalle intenzioni e anche dalle
affermazioni che ritroviamo su molta stampa italiana. Sostanzialmente, noi abbiamo
migliaia di famiglie che scelgono la vita per queste persone a loro care e abbiamo
pochissimi casi in cui viene richiesta la possibilità di staccare la spina. Cosa può
accadere, allora? Che qualcun altro possa essere invogliato a farlo, chiamando questo
caso come un precedente al quale appellarsi, sulla base soprattutto delle due motivazioni
della corte d’appello di Milano, che hanno dato per acquisiti due elementi che sono
ambedue incerti. La Cassazione aveva chiesto di verificare l’irreversibilità dello
stato vegetativo. In secondo luogo, la certezza della volontà espressa dalla persona.
Ora, ci sono fior di scienziati e di rianimatori che sostengono che è assolutamente
difficile definire e diagnosticare lo stato vegetativo. L’irreversibilità di uno stato
vegetativo è scientificamente inaccertabile. Il secondo elemento è quello legato invece
all’accettazione della volontà e su questo punto si apre un contenzioso enorme, che
riguarda anche in futuro la questione del "testamento biologico". Nel giudice, oggi
è maturata la convinzione che ci fossero queste due condizioni.
D.
– Quindi, è a discrezione del magistrato?
R. – Sì,
esatto. E’ vero che noi siamo in uno stato di vuoto legislativo. Però finora la scienza
si è affidata, in particolare nella pratica medica, alla responsabilità del medico.
Quindi, tutto era all’interno del rapporto tra il medico e il paziente. Il prolungamento
della vita pone oggi domande nuove, alle quali normalmente ancora oggi rispondono
le famiglie, il malato e i medici che hanno in cura il paziente, anche in questo stato.
In Lombardia ho scoperto che ci sono 500 casi come quello di Eluana, ma solo quello
di Eluana è stato trattato in questa maniera, perché il papà e la mamma hanno deciso
di poter interpretare il pensiero della figlia, definita “paladina della libertà”,
per cui lei certamente non avrebbe voluto vivere in queste condizioni. Naturalmente,
non c’è nessuna controprova. Il problema è, ed è riferito esattamente al testamento
biologico che è all’orizzonte, o addirittura all’eutanasia, che è una prospettiva
purtroppo realistica anche in Italia. Il problema sta proprio lì, nella questione
della volontà espressa. Proprio il testamento biologico, ce lo dicono gli studi internazionali,
pone dei problemi. Dovendomi trovare domani in una certa condizione, io decido oggi
quali pratiche applicare e quali non applicare. Il problema è che la prassi internazionale
ha già verificato che nelle circostanze della vita cambia la mentalità.
D.
– Cambiano le opinioni, le idee...
R. – Cambiano
le opinioni, fino all’ultimo momento. Allora, questa tutela della libertà che è insita
in questa volontà, in qualunque momento può essere contraddetta da una maturazione,
da una prospettiva di speranza, perché, vede, la domanda di morte che viene da tanti
malati è esattamente proporzionale, purtroppo, alla mancanza di cure. Se si innalzano
le cure palliative, la terapia del dolore, crolla la domanda di morte. Questo nei
pazienti che sono vigili.
D. – Qui, però, noi, ci
tengo a dirlo, non accusiamo assolutamente nessuno...
R.
– No, noi non giudichiamo la famiglia. Riteniamo inopportuna probabilmente anche un’azione
giudiziaria successiva, qualora dovesse essere contro qualcuno. Bisogna essere molto
cauti, molto prudenti ed affettuosi nei confronti di questi genitori, come di tutti
gli altri.