''In un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza''.
Così il Papa aprendo nel pomeriggio l’Anno Paolino
Maestro delle genti, apostolo e banditore di Gesù Cristo: così il Papa ha definito
San Paolo, durante i Primi Vespri della solennità dei Santi apostoli Pietro e Paolo.
Nel pomeriggio, Benedetto XVI ha presieduto una solenne cerimonia nella Basilica di
San Paolo fuori le mura e, nell’occasione, ha aperto ufficialmente l’Anno Paolino,
indetto per celebrare i due millenni dalla nascita dell’Apostolo delle genti. Al rito,
ha partecipato anche il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, insieme ai Delegati delle
altre Confessioni cristiane. Il servizio di Isabella Piro:
(canto) L’accensione
della “Fiamma Paolina”, che arderà fino al giugno 2009, e l’inaugurazione della “Porta
Paolina”: con questi due gesti solenni, Benedetto XVI ha aperto ufficialmente l’anno
dedicato a San Paolo, nato duemila anni fa a Tarso, nell’odierna Turchia. Ma il tempo
non ne ha logorato la figura e l’importanza: “Paolo – ha detto il Papa nella sua omelia
– non è per noi una figura del passato, che ricordiamo con venerazione”. Egli ci parla,
invece, ancora oggi, attraverso la sua fede:
“La sua fede è l’esperienza
dell’essere amato da Gesù Cristo in modo tutto personale; è la coscienza del fatto
che Cristo ha affrontato la morte non per un qualcosa di anonimo, ma per amore di
lui – di Paolo – e che, come Risorto, lo ama tuttora, che cioè Cristo si è donato
per lui. La sua fede è l’essere colpito dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo
sconvolge fin nell’intimo e lo trasforma. La sua fede non è una teoria, un’opinione
su Dio e sul mondo. La sua fede è l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore. E così
questa stessa fede è amore per Gesù Cristo”.
“Uomo combattivo che
sa maneggiare la spada della parola – ha aggiunto Benedetto XVI – Paolo non ha cercato
un’armonia superficiale”. Ha cercato la verità:
“La verità era
per lui troppo grande per essere disposto a sacrificarla in vista di un successo esterno.
La verità che aveva sperimentato nell‘incontro con il Risorto ben meritava per lui
la lotta, la persecuzione, la sofferenza. Ma ciò che lo motivava nel più profondo,
era l’essere amato da Gesù Cristo e il desiderio di trasmettere ad altri questo amore.
Paolo era uno colpito da grande amore, e tutto il suo operare e soffrire si spiega
solo a partire da questo centro”.
‘Libertà’ è un’altra delle “parole-chiave”
per comprendere l’attualità di Paolo, ha continuato il Santo Padre, perché “Paolo
era libero come uomo amato da Dio che, in virtù di Dio, era in grado di amare insieme
con Lui”. Ma la libertà basata sull’amore di Dio, ha continuato il Papa, è legata
alla responsabilità “in modo inscindibile” e non va intesa come “pretesto per l’arbitrio
e l’egoismo”:
“Chi ama Cristo come lo ha amato Paolo, può veramente
fare quello che vuole, perché il suo amore è unito alla volontà di Cristo e così alla
volontà di Dio; perché la sua volontà è ancorata alla verità e perché la sua volontà
non è più semplicemente volontà sua, arbitrio dell’io autonomo, ma è integrata nella
libertà di Dio e da essa riceve la strada da percorrere”.
Benedetto
XVI si è poi soffermato sull’incontro tra Cristo e Saulo sulla via di Damasco. “Perché
mi perseguiti?”, chiede il Signore, ed in quel “mi”, ha detto il Papa, “è contenuta
l’intera dottrina sulla Chiesa come Corpo di Cristo”:
“Cristo non si
è ritirato nel cielo, lasciando sulla terra una schiera di seguaci che mandano avanti
«la sua causa». La Chiesa non è un’associazione che vuole promuovere una certa causa.
In essa non si tratta di una causa. In essa si tratta della persona di Gesù Cristo,
che anche da Risorto è rimasto «carne». (…) Egli ha un corpo. È personalmente presente
nella sua Chiesa, «Capo e Corpo» formano un unico soggetto, dirà Agostino”. Benedetto
XVI ha quindi evidenziato un altro tratto della figura di Paolo: il suo ruolo di evangelizzatore,
legato indissolubilmente alla chiamata alla sofferenza per Cristo. “In
un mondo in cui la menzogna è potente, la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole
schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua
grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non
c’è amore senza sofferenza – senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della
trasformazione e purificazione dell’io per la vera libertà. Là dove non c’è niente
che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore”.
La
sofferenza, ha concluso il Papa, rende Paolo “credibile come maestro di verità, che
non cerca il proprio tornaconto, la propria gloria, l’appagamento personale, ma si
impegna per Colui che ci ha amati e ha dato se stesso per tutti noi”.
Poco
prima del termine della cerimonia, Bartolomeo I ha rivolto la sua parola ai presenti,
ricordando che “la radicale conversione e l’annuncio apostolico di Saulo di Tarso
hanno “scosso” la storia nel senso letterale del termine ed hanno scolpito l’identità
stessa della cristianità”. Fondamentale, quindi, ha concluso il Patriarca ecumenico,
celebrarne la memoria nella Basilica a lui intitolata:
“Questo sacro luogo
fuori le Mura è senza dubbio quanto mai appropriato per commemorare e celebrare un
uomo che stabilì un connubio tra lingua greca e mentalità romana del suo tempo, spogliando
la cristianità, una volta per tutte, da ogni ristrettezza mentale, e forgiando per
sempre il fondamento cattolico della Chiesa ecumenica”.