Radio cattoliche a confronto sulla loro identità e missione. La sfida più grande,
dichiara il vescovo salvadoregno Rosa Chavez, è di essere prossimi alla gente
Tre giorni di confronto serrato in aula e di lavoro intenso nei gruppi di studio:
si è concluso ieri all’Università Urbaniana il Congresso mondiale delle Radio cattoliche,
chiamate dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali a ricercare orientamenti
comuni sulla loro identità e missione nella società contemporanea. Delegati di oltre
50 Paesi dei cinque continenti hanno dibattuto su come meglio porsi a servizio della
persona. Per tutti il richiamo dell’arcivescovo Angelo Amato, segretario della Congregazione
per la Dottrina della Fede, che ha chiesto alla Radio cattoliche chiarezza e originalità
di contenuti confessionali. Diversi i punti di vista emersi secondo i contesti religiosi,
culturali, sociali e politici. Ascoltiamo la testimonianza del vescovo ausiliare
di San Salvador Gregorio Rosa Chavez, intervistato da Roberta Gisotti.
R.
– Diciamo che nel nostro continente latino-americano domina un modello nuovo di Radio,
piuttosto devozionale. Ecco, perché è tanto importante ‘ripensare’ a come dobbiamo
fare la Radio cattolica: dobbiamo fare una Radio inculturata, dobbiamo riflettere
sulla Chiesa che siamo e la Chiesa che dobbiamo essere, su un’utopia di Chiesa e una
realtà di Chiesa. Accade nel mio Paese un fenomeno incredibile: lei ascolta la Radio
cattolica, ma non sa se è cattolica o evangelica, perché ascolta canzoni religiose,
ma non cosa pensa la Chiesa, cosa vuole la Chiesa, quali sono i piani pastorali, per
esempio. Questa per me è una sfida importante. Dobbiamo aggiungere, però, che adesso
abbiamo molte Radio che sono al contrario molto inculturate e vicine alle realtà di
sofferenza, di speranza, di richiesta di risposte da parte del popolo.
D.
– E’ stato detto in questo Congresso che la Radio cattolica non deve seguire l’agenda
delle altre Radio, ma deve avere una sua agenda. Secondo lei, nella realtà latino-americana
è possibile questo?
D. – Diciamo che questo non è
un problema per noi, al contrario. Per esempio, in America centrale, quasi tutte le
Radio cattoliche fanno una Radio - possiamo dire - ‘troppo cattolica’, confessionale.
Ci sono Radio che non hanno dei programmi informativi. E questa per me è una realtà
che va superata. Questa preoccupazione, dunque, non è applicabile da noi. L’identità
è molto chiara e questa tentazione non esiste da noi.
D.
– Al contrario, quindi, si tratta di essere sui fatti del mondo alla luce del Vangelo...
R.
– Ecco, la formula esatta! Per esempio, il linguaggio, come dire le cose nel linguaggio
proprio della Radio: è una sfida permanente. Poi, come tradurre le grandi verità per
ascoltatori che sono distratti. Come riuscire a contattare le persone con le loro
preoccupazioni, con le loro angosce e così via. Questa è una cosa molto importante
da fare come comunicatori cattolici.
D. – Lei ha
detto che la Radio deve essere vicina ai bisogni della gente. In questo senso le Radio
cattoliche possono giocare un ruolo importante nella diffusione della dottrina sociale
della Chiesa e quindi nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali
e quindi avere un ruolo anche sul piano politico e sociale di un Paese...
R.
– Io, adesso, sono al CELAM (Consiglio episcopale latinoamericano) e sono incaricato
per la sezione delle Comunicazioni sociali. E’ molto importante la questione delle
politiche della comunicazione. A volte la gente che lavora alla Radio non ha gli orientamenti
per sapere come fare. Ma una cosa importante è che la Radio deve difendere la vita
umana, deve mettere al centro della sua preoccupazione la persona umana. Questo porta
subito alla questione della dottrina sociale. Ecco perché - come dicevo prima – è
presente tra noi la tentazione della Radio devozionale. Dobbiamo superare questa realtà.