Al via, ad Amman, la quinta edizione del Comitato scientifico del Centro ricerche
"Oasis". Intervista con mons. Richi Alberti
Si sono aperti oggi ad Amman i lavori della quinta edizione annuale del Comitato scientifico
del centro internazionale di studi e ricerche Oasis. Oltre 80 tra vescovi, professori,
giornalisti da oltre 20 paesi d’Europa Asia Africa e America dialogano sulla libertà
religiosa e il caso serio della libertà di conversione. Il servizio da Amman di Maria
Laura Conte:
Da
Amman, Oasis rilancia: la libertà religiosa è un bene per ogni società. E’ in estrema
sintesi quanto emerso dalla prima parte dei lavori della rete internazionale del Centro
Oasis, 80 persone di oltre 20 Paesi di tutti i continenti, convenute ad Amman per
l’annuale Comitato scientifico. I dialoghi della mattinata sono stati aperti dall’intervento
del cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, che ha sviluppato il tema “Il ‘caso
serio’ della libertà religiosa. La libertà di conversione”. “Nella nostra società
globalizzata - ha rilevato il patriarca e fondatore di Oasis - la tensione tra libertà
religiosa e identità tradizionale di un popolo sta diventando scottante". In particolare,
ha proseguito, "il punto critico è: che cosa succede ad una identità di popolo se
un numero consistente di persone inizia a metterla in discussione? In alcuni Paesi
a maggioranza musulmana l’identità di popolo risulterebbe minacciata se si concedesse
la possibilità di convertirsi a chi è già musulmano”. “Il passo che ora dobbiamo compiere
in Occidente ed in Oriente - ha quindi osservato il patriarca di Venezia - sta nel
mettere meglio a fuoco come il rapporto tra libertà religiosa e identità di popolo
incida sulla vita sociale". I cristiani, ha osservato il cardinale Scola, "non intendono
mettere a rischio le basi della convivenza sociale dei paesi a maggioranza musulmana
ma chiedono lo stesso rispetto per la propria tradizione a chi arriva qui da noi.
Ma il rispetto verso l’identità comunitaria non può spingere nessuno, nemmeno i musulmani,
a violare la libertà umana del singolo, compresa la libertà di conversione”.
Dopo
il porporato, è intervenuto Nikolaus Lobkowicz, direttore dell’Istituto per gli studi
sull’Europa Orientale di Eichstätt di Baviera che, ripercorrendo la storia di come
nella vita della Chiesa si è intesa la libertà religiosa, ha segnalato il passo importante
determinato dalla Dignitatis Humanae, in quanto ha trasferito il tema della
libertà religiosa dalla nozione di verità a quella dei diritti della persona umana.
“Chiaramente - ha rilevato il prof. Lobkowicz - non si tratta di un diritto al cospetto
di Dio, ma rispetto alla comunità e allo Stato”. Ha portato il suo contributo al
comitato anche Khaled Al-Jaber, professore alla University of Petra, che ha sviluppato
il tema del rapporto tra libertà e verità nell’orizzonte del dialogo tra cristiani
e musulmani.
L'apertura dei lavori è stata appannaggio del direttore del
centro Oasis mons. Gabriel Richi Alberti. A lui, Giancarlo La Vella
ha chiesto in che termini si possa parlare oggi nel mondo di libertà religiosa:
R. - Noi
ci siamo posti questa domanda per il nostro Comitato scientifico che si terrà ad Amman
e abbiamo deciso di passare per l’esperienza concreta delle comunità cristiane. Abbiamo
preferito non fare un discorso teorico, di principio, ma passare per la testimonianza
dei cristiani che vivono in Paesi a maggioranza musulmana, anche per imparare da loro
il rapporto con le comunità musulmane, che adesso si presenta molto attuale in Occidente.
D.
- Le emergenze più particolari in che modo si manifestano?
R.
- I nostri amici delle comunità cristiane nei Paesi a maggioranza musulmana parlano
sempre della necessità di rafforzare il concetto di cittadinanza e cioè che tutti
i credenti, qualunque sia la loro appartenenza religiosa, possano vivere condividendo
tutti gli usi propri della cittadinanza. In questi Paesi ciò appare come un’urgenza
sempre più concreta. Poi mi sembra che si possa dire che sia la via della testimonianza
reciproca che apre spazi concreti nel quotidiano. Sono tantissime le opere di carità,
le opere di assistenza, le opere educative che le comunità cristiane portano avanti
dando così luogo a spazi reali di convivenza.
D.
- Esiste un problema di libertà religiosa anche in Occidente, che in genere consideriamo
democratico e progredito?
R. - Esiste un problema
non nel senso che ci sia una persecuzione legale o giuridica ma nel senso culturale
della riduzione dell’esperienza religiosa al puro privato, al puro individuale. Se
noi, sotto il concetto di libertà religiosa, vogliamo intendere la possibilità degli
uomini di vivere la loro fede, è necessario dire anche che in Occidente culturalmente
tante volte ci troviamo di fronte ad incomprensioni quando vogliamo vivere pubblicamente
la nostra esperienza religiosa, non solo considerata appunto come libertà di culto
o come manifestazione di pratiche religiose, ma come visione buona della vita.
D.
- La tutela di un diritto come quello della libertà religiosa può migliorare promuovendo
il dialogo interreligioso?
R. - Penso di sì, soprattutto
se questo dialogo interreligioso è fatto di incontro e reciproca testimonianza. Noi,
attraverso l’esperienza di Oasis, abbiamo voluto che si potessero incontrare uomini
cristiani e provenienti dall’Islam, che vivono in prima persona la loro appartenenza
religiosa sapendo che essa può essere un contributo per la vita pubblica.
D.
- Come si svolgeranno i lavori ad Amman?
R. - Le
giornate ad Amman sono organizzate in questo modo. Ci sono momenti dedicati al racconto
reciproco, ovviamente con una particolare attenzione alle comunità cristiane in Giordania,
che dipendono dal Patriarcato latino di Gerusalemme, e vogliamo farci raccontare da
loro come vivono. Poi, ci saranno dei momenti dedicati alla riflessione e al dialogo
tra di noi anche sui contenuti teorici. Quindi, un doppio binario di riflessione comune
e di racconto reciproco.