Preoccupazione per i tre cooperanti del CINS rapiti in Somalia
Dopo oltre tre settimane nessuna notizia di Giuliano Paganini, Jolanda Occhipinti
e Yusuf Arale, i volontari del CINS, Cooperazione Italiana Nord Sud, sequestrati il
21 maggio scorso nell'abitazione che occupavano a 60 chilometri da Mogadiscio, in
Somalia. I due cooperanti italiani, un agronomo e un'amministratrice, ed il loro collega
somalo stavano lavorando ad un progetto di sviluppo rurale cofinanziato dalla Comunità
europea e dalla FAO. Un silenzio troppo lungo, che non piace ed, anzi, "preoccupa",
afferma Sergio Marelli, presidente delle ONG, Organizzazioni non Governative
Italiane, in un appello rivolto qualche giorno fa a leader politici e religiosi locali.
Monia Mandracchia lo ha intervistato:
R. – Io penso
intanto che le istituzioni stiano facendo tutto quanto è in loro potere per risolvere
positivamente ed urgentemente questo caso. Penso, altrettanto, che la Somalia, insieme
ad altre realtà altrettanto problematiche, difficoltose e conflittuali, sia troppo
poco spesso sotto gli occhi dei media, sia troppo poco spesso portata all’attenzione
dell’opinione pubblica.
D. – Secondo la sua esperienza,
quali ipotesi si possono avanzare?
R. – Nessuna ipotesi
verosimile, perché le fonti sono ancora assolutamente incerte e, soprattutto, io penso
che rompere il silenzio stampa non debba minimamente significare intralciare i lavori
di chi sta lavorando per il positivo ed urgente rilascio dei nostri tre amici. Oggi
azzardare delle ipotesi, quando non abbiano dei fondamenti certi, non bisogna farlo.
D.
– Come mai in altri casi ci sono state tante manifestazioni e questa volta non si
sono registrate reazioni di alcun genere?
R. – Penso
che questa sia una delle conseguenze dell’attenzione che viene data ad alcune regioni
del mondo, piuttosto che ad altre, come se i drammi di un Paese, i drammi di un popolo,
possano essere messi prima di quelli degli altri, come in una sorta di classifica
dei mali e dei problemi che ci sono sul nostro pianeta. Noi continuiamo a dire che
i problemi, i drammi e le violazioni dei diritti devono essere trattati alla pari,
perché per noi cristiani dovrebbe bastare che solamente ad una di queste persone sia
stato fatto qualcosa per imporre una pari mobilitazione, una pari solidarietà e una
pari indignazione.
D. – Come organizzazioni non governative,
come vi state muovendo?
R. – Noi ci stiamo muovendo
innanzitutto in accordo con le autorità, in particolare l’Unità di crisi della Farnesina,
che se ne sta occupando, mettendo a disposizione la nostra esperienza e rendendoci
sempre disponibili nel caso potessimo o dovessimo fare qualcosa. La liberazione di
questi ostaggi, però, sta nelle mani delle nostre autorità, che sono certo stanno
lavorando con il massimo della competenza e della dedizione.