Lotta all'AIDS: riunione di alto livello al Palazzo di Vetro di New York
E' iniziata ieri al Palazzo di Vetro di New York una riunione di alto livello sull’AIDS,
promossa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In base ai cosiddetti “Obiettivi
di Sviluppo del Millennio”, la riunione esaminerà i progressi compiuti in materia
di lotta al virus dell’HIV e di accesso universale alle terapie. L’incontro è strutturato
in una serie di tavole rotonde, tra cui quella odierna, promossa dalla Missione di
osservazione permanente della Santa Sede presso l'ONU, sul tema “Trattamento, prevenzione
e assistenza: tre approcci per affrontare l’HIV/AIDS”. Ieri, il segretario generale
dell'ONU Ban Ki-moon aveva chiesto di eliminare le restrizioni, attualmente imposte
da più di 70 Paesi nel mondo, all'ingresso dei sieropositivi sul loro territorio.
Ma a che punto è oggi la lotta all’Aids? Ascoltiamo Giuseppina Liuzzi, infettivologa
dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, intervistata
da Giada Aquilino:
R. –
Mentre nei Paesi occidentali abbiamo a disposizione farmaci e terapie che consentono
di affrontare la malattia e che permettono di poter continuare a vivere, la situazione
nei Paesi in via di sviluppo è completamente differente: la gente continua a morire
di AIDS, non arrivano i farmaci che normalmente utilizziamo nelle nostre realtà e
la malattia diventa una delle principali cause di morte tra la popolazione. Parliamo
sicuramente dell’Africa, che è il Continente che meglio conosciamo, ma ci sono anche
altre realtà, come i Paesi orientali, di cui non abbiamo ancora dati epidemiologici
a sufficienza.
D. – L’accesso universale alle terapie
è, dunque, un altro punto importante della lotta all’AIDS…
R.
– Io direi che è sicuramente il punto fondamentale: se non riusciamo ad arrivare in
quei Paesi e a portare i farmaci, non riusciremo neanche a combattere in maniera adeguata
la malattia. Sicuramente dobbiamo cercare di far in modo di consentire l’accesso ai
farmaci - di cui oggi disponiamo - a tutta la popolazione.
D.
- Quanto è lontano, nel tempo, un vaccino per l’AIDS?
R.
– Ci troviamo di fronte ad un’infezione molto particolare, a un virus che muta continuamente.
Per cui diventa difficile riuscire ad approntare, da un punto di vista specificamente
tecnico, un vaccino adeguato. E diventa difficile anche la sperimentazione di un vaccino
nel termine classico della nostra cultura, quindi di un qualcosa che protegga completamente.
Sicuramente si arriverà ad un tipo di vaccino, in qualche modo terapeutico, da somministrare
a chi è già infetto.
D. – Come si realizza la prevenzione
soprattutto nelle donne e in particolare nei Paesi in via di sviluppo?
R.
– La prevenzione diventa a questo punto sicuramente il mezzo fondamentale per affrontare
la malattia. Nei Paesi in via di sviluppo la cosa importante è anzitutto l’informazione,
ma è necessario anche cercare di combattere quella che – anche lì – rappresenta la
vergogna della malattia. Basti pensare alle donne che continuano ad allattare i propri
figli perché negare il latte ad un bambino diventa un modo per far riconoscere la
propria sieropositività o a quelle donne che affrontano da sole un parto per non manifestare
agli altri la propria condizione. Fondamentale è quindi l’informazione, ma forse anche
il superamento di concetti sbagliati.