Mons. Sako chiede di salvare il patrimonio cristiano dell'Iraq
E’ forte l’appello che mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, lancia alle
istituzioni ed in particolare all’Unesco. Su un articolo pubblicato da Asianews, il
presule riflette sull’esodo che sta svuotando l’Iraq della “millenaria presenza cristiana”
e che potrebbe cancellare il ricco patrimonio culturale del Paese. Un’eredità che
il mondo rischia di perdere. “Cosa sarà di chiese e monasteri antichissimi – si chiede
mons. Sako - come la chiesa di Koche alla periferia di Baghdad, Tahira, Mar Isaiyia,
Miskenta, san Tommaso, Marhudeini, il monastero San Michele a Mosul e la chiesa rossa
di Kirkuk, tutte risalenti tra il V e il VII sec. d.C.?” A rischio anche manoscritti
rarissimi e l’aramaico, “lingua sconosciuta al resto del mondo - scrive l’arcivescovo
di Kirkuk - se verranno meno coloro che da sempre ne garantiscono la vita e la conservazione”.
Da qui l’appello per salvare questi beni con l’aiuto della comunità internazionale,
l’Unesco in particolare, dall’incuria in cui ora versano a causa dell’insicurezza
e dalla eventuale distruzione se colpite da operazioni militari. Mons. Sako propone
inoltre “l’istituzione di un museo cristiano che possa raccogliere tutti i beni che
nel corso della storia si sono sedimentati nella nostra terra”. La tradizione cristiana
in Iraq è antichissima, risale al primo secolo dopo Cristo quando S. Tommaso apostolo
evangelizzò il Paese. Una presenza poi cresciuta e sviluppatasi fino al culmine raggiunto
nel IV secolo, quando la Chiesa di Mesopotamia si propose come Chiesa missionaria,
spingendosi fino in India e in Cina. Anche dopo la conquista islamica i cristiani
hanno contribuito in modo attivo allo sviluppo culturale arabo con l’insegnamento
delle lettere, filosofia, astronomia, fisica matematica e medicina. Fin dall’inizio
i cristiani si sono fusi con le altre realtà etniche e religiose – curdi, turcomanni
e yezidi - hanno sempre difeso l’integrità del Paese in modo coraggioso insieme ai
loro fratelli musulmani. “Testimoniano lealtà, fedeltà, onestà e la volontà di vivere
in pace e fratellanza con gli altri – scrive l’arcivescovo di Kirkuk - per 14 secoli
hanno vissuto insieme nel contesto della cultura islamica nel rispetto reciproco”.
(B.C.)