Otto miliardi di dollari, ma poche e fumose strategie per combattere la fame nel mondo.
Si è concluso, ieri a Roma, in tarda serata, il vertice straordinario della FAO dedicato
all’emergenza alimentare. Dopo tre giorni di lavori i delegati dei 183 Paesi presenti
hanno approvato tra le polemiche il testo della Dichiarazione finale. Delusione dalle
Organizzazioni non governative che considerano gli impegni assunti contro la fame
insufficienti. Il servizio è di Stefano Leszczynski:
Non
è stato un fallimento, ma nessuno ha lasciato il vertice della FAO sull’emergenza
alimentare con la sensazione che sia stato un successo. La Dichiarazione finale che
contiene le linee guida da seguire nei prossimi due anni per combattere la piaga della
fame nel mondo è stata approvata, dopo negoziati estenuanti, solo in tarda serata.
Jacques Diouf, direttore generale della FAO ha commentato che si tratta di un primo
passo, indicando con soddisfazione gli 8 miliardi di dollari di aiuti promessi dagli
enti finanziari internazionali – ONU, Banca Mondiale, Ifad, PAM, Banca di sviluppo
africano e Banca islamica di sviluppo - e dai governi, anche se resta ignoto il modo
in cui questi soldi verranno impiegati. A rallentare, oltre ogni limite, la chiusura
della Conferenza è stata poi l’opposizione di molti Paesi sudamericani come Argentina,
Venezuela, Ecuador, Bolivia, Nicaragua e Cuba. Nello specifico, è stata soprattutto
la delegazione di Buenos Aires ad opporsi al paragrafo sulla liberalizzazione dei
mercati agricoli al fine di abbassare i prezzi delle derrate alimentari a livello
internazionale. L’Argentina chiedeva, in particolare, che fossero criticati anche
i sussidi all’agricoltura nei Paesi industrializzati. Nonostante fossero considerati
temi centrali della Conferenza, né in materia di biocarburanti, per la cui produzione
non è prevista alcuna limitazione dei sussidi, né nella lotta ai cambiamenti climatici,
l’accordo alla fine è risultato incisivo. Un documento finale, insomma, che il ministro
degli esteri italiano Franco Frattini ha giudicato deludente, rispetto alle aspettative
dei primi giorni. Se tuttavia un merito c’è stato, è stato quello di riportare l’attenzione
sull’Africa, puntando sullo sviluppo dei piccoli agricoltori. Il continente, infatti,
è al centro di quella che è stata battezzata la ‘rivoluzione verde’, un memorandum
siglato da dal polo agroalimentare delle Nazioni Unite (FAO, Ifad, PAM) e dall’Agra,
l’associazione fondata dall’ex segretario generale dell’ONU, Kofi Annan. Ma anche
in questo ambito le perplessità delle Ong sono forti, come ci spiega Mario
Giro della Comunità di Sant’Egidio:
R. – Innanzitutto, bisogna
prendere la questione come una questione strutturale: ridistribuire in maniera equa
la produzione agraria mondiale, rilanciare la produttività e qui entrano in gioco
i piccoli contadini, ecc., che però sono un anello molto debole; non bisogna fare
su questo della retorica perché essere un piccolo contadino povero individuale in
Africa è una situazione molto grave. Quindi bisognerà vedere al G8, a luglio e all’assemblea
dell’ONU a settembre, quale sarà la strategia unitaria perché finché si rimane con
una pluralità di idee contraddittorie, ancorché concrete, non si riesce ad affrontare
il problema in maniera strutturale, in maniera strategica, come si dice.
D.
– Qual è la vostra impressione su quello che è stato fatto e detto a questa conferenza
a Roma?
R. – Innanzitutto, la conferenza di Roma
si è trasformata in questi due mesi, a causa della crisi agroalimentare a cui abbiamo
assistito. Inizialmente, si è visto anche dal programma, non erano previsti così tanti
capi di Stato: invece l’interesse è stato grande. Si è trasformato in un vero vertice
mondiale sulla crisi agroalimentare: molte sono state le idee ma non c’è consenso
sulla questione dei biocarburanti, non c’è il consenso sulla questione degli aiuti,
in particolare non c’è consenso sulla questione della produzione agroalimentare e
sulla produzione africana.
D. – Si è parlato, tuttavia,
molto degli aiuti ai singoli contadini, alle famiglie rurali…
R.
– E’ molto difficile trovare un programma che metta d’accordo tutti, anche perché
sappiamo che la produzione agroalimentare è controllata da alcuni Paesi e si fonda,
in particolare, su alcune aree geografiche, come ad esempio il discorso sugli aiuti
alimentari lo dimostra, perché molti Paesi hanno detto che per risolvere la questione
bisogna che i Paesi che soffrono la fame comprino il surplus. Invece, il problema
è quello di rilanciare l’agricoltura là dove è stata sconsideratamente diminuita o
scoraggiata come per esempio in Africa.