Libano: l'elezione del presidente Suleiman allontana lo spettro della guerra civile.
Intervista con mons. Raï
Il neo-presidente della Repubblica libanese, il cristiano-maronita Michel Suleiman,
eletto ieri dal Parlamento di Beirut, si è insediato stamani nel palazzo presidenziale
di Baabda. Termina così per il Libano lo stallo istituzionale iniziato il 23 novembre
scorso alla scadenza del mandato di Emile Lahoud. Domani Suleiman dovrebbe iniziare
le consultazioni per la scelta del primo ministro, carica tradizionalmente affidata
a un musulmano sunnita. “Un passo fondamentale verso la risoluzione della crisi libanese”;
così viene giudicata, nei messaggi di congratulazioni arrivati dai governi di tutto
il mondo, l'elezione di Suleiman, avvenuta alla presenza di molti rappresentanti istituzionali
esteri dopo una ventina di tentativi andati a vuoto. Per il capo della Casa Bianca,
Bush, il nuovo capo dello Stato proteggerà la sovranità del Libano. Intanto nella
capitale ieri sera la gente è scesa in piazza per esprimere la propria soddisfazione.
Ce ne parla Graziano Motta:
Una gioia
repressa è esplosa a Beirut, manifestazioni di esultanza popolare impensabili in una
città che ancora agli inizi di questo mese era stata teatro di scontri da guerra civile.
C’era speranza che l’elezione di Michel Suleiman, anche per il larghissimo consenso
con cui è stata espressa - 118 deputati su 127 votanti - segni l’avvio della ricomposizione
della frattura politica durata 18 mesi e acuitasi da novembre, da quando cioè il Paese
era rimasto senza presidente della Repubblica. Dopo aver prestato giuramento, il 51enne
Michel Suleiman, cristiano maronita, finora comandante dell’esercito, ha esortato
all’unità del Paese e ha auspicato un rapporto amichevole, improntato al rispetto
reciproco con la Siria. Certo, il compromesso raggiunto a Doha, il 21 maggio, dalla
maggioranza antisiriana e dalla minoranza filosiriana, se ha spianato la via anche
alla formazione di un nuovo governo di unità nazionale, ha stabilito un pesante condizionamento
del partito sciita hezbollah, perchè gli assicura il potere di veto, e ha lasciato
in sospeso la questione del disarmo delle sue milizie.
Sull’avvenuta elezione
del nuovo presidente libanese ascoltiamo il commento di mons. Béchara Raï,
vescovo di Byblos dei Maroniti, al microfono di Stefano Leszczynski: R.
– Tutto il popolo libanese ha espresso la sua gioia con euforia perché il Libano non
poteva andare avanti senza capo dello Stato: tutto era paralizzato. Il secondo motivo
di gioia è che il presidente gode di una grande stima in Libano e fuori.
D.
– Molte restano, tuttavia, le difficoltà che questo nuovo presidente dovrà affrontare:
del resto, solo una settimana fa si temeva che il Libano sprofondasse nuovamente nella
guerra civile ...
R. – Sì. I problemi sono tantissimi.
Non è ancora risolto il problema della maggioranza e dell’opposizione, vale a dire
il problema del conflitto tra sunniti e sciiti, anche se questo è un conflitto dell’intero
Medio Oriente che si ripercuote in Libano. Quindi, c’è ancora molto da fare negli
Stati arabi per risolvere la crisi politica in Libano. Il secondo problema riguarda
le armi di Hezbollah; il terzo, la formazione del governo. Poi, c’è il grandissimo
problema dei debiti finanziari sotto la pressione dei quali il Libano proprio non
resiste più; infine, c’è anche il problema dell’emorragia dei giovani che lasciano
il Paese. Tutti questi sono problemi molto urgenti per il nuovo presidente, speriamo
che riesca a portare la sua croce e far progredire il Paese. Certo, non deve portarla
solo lui, questa croce, ma tutti noi libanesi, tutti quanti! Anche la Chiesa ha un
grande lavoro da svolgere per continuare l’opera di riconciliazione in Libano. Dobbiamo
lavorare molto per completare questa riconciliazione politica ed andare avanti con
un Libano nuovo che sappia riprenderà il suo ruolo.
D.
– Possiamo dire che sulla svolta, sulla decisione di nominare questo presidente, abbia
pesato anche la capacità di mantenere un ruolo neutrale durante la crisi?
R.
– Di fatto, lui ha avuto questo consenso internazionale, regionale e interno proprio
per la sua posizione neutrale, non solo ultimamente, ma da quando a capo dell’esercito
libanese – da nove anni. Il presidente ha sempre saputo assumere una posizione di
mediazione con tutti, e non si è mai schierato in favore di una sola parte; ha saputo
gestire la situazione saggiamente nel corso di tanti eventi che hanno messo alla prova
l’esercito. Tutti sanno che l’esercito può essere facilmente diviso, perché è composto
di musulmani, sunniti e sciiti, e questo avrebbe potuto essere alla base di una spaccatura
nelle forze armate: è stata questa capacità a fornirgli il consenso!