Raid israeliano a Gaza: uccisi 5 palestinesi. Razzi su Sderot
Nessun accenno ad uno stop nelle violenze che attraversano il Medio Oriente. Cinque
palestinesi sono rimasti uccisi durante un'operazione dell'esercito israeliano nella
Striscia di Gaza. Secondo fonti dello Stato ebraico, le vittime erano militanti delle
Brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas. L’azione aerea è scattata in concomitanza
con un’operazione di terra nei pressi del valico meridionale di Rafah, al confine
con l'Egitto. Subito dopo i palestinesi hanno effettuato nuovi lanci di razzi sulla
cittadina israeliana di Sderot. Proprio dal Cairo, intanto, sono arrivate notizie
pessimistiche circa una tregua fra Hamas e Israele. La mediazione egiziana dei giorni
scorsi non ha infatti portato ad alcun risultato, proprio quando le condizioni della
popolazione civile di Gaza sono sempre più drammatiche per il taglio dei rifornimenti
di carburante da parte di Israele, in rappresaglia ai continui lanci di razzi palestinesi
sul territorio dello Stato ebraico. Sulla situazione nella Striscia, Giada Aquilino
ha intervistato Luigi Geninazzi, inviato speciale del quotidiano Avvenire,
appena rientrato da Gaza:
R. –
Purtroppo, ogni giorno è la stessa situazione. È sempre un po’ peggio. La gente spera
in una tregua, ma sa che già troppe volte ci sono state delle mezze promesse. Poi,
basta che uno dei militanti della Jihad spari un missile e Israele compia un raid,
che la tregua finisce. Per il momento, non è neppure ancora iniziata.
D.
– In quali condizioni vive la popolazione civile?
R.
– Non si può parlare di crisi umanitaria, nel senso che Gaza non è il Darfur e la
gente non muore di fame, perché di fatto l’Alto Commissariato per i profughi dell’ONU
garantisce un minimo di alimentazione, di beni essenziali. Dobbiamo però ricordare
che su un milione e mezzo – tanti sono gli abitanti di Gaza – un milione sopravvive
grazie proprio agli aiuti dell’ONU, perché ogni attività produttiva è ferma ed è impedito
ogni passaggio ai palestinesi, che vivono in una specie di prigione a cielo aperto.
Nelle ultime settimane, poi, Israele ha tagliato anche le forniture di energia e ciò
significa niente elettricità né benzina. La situazione è veramente grave negli ospedali,
dove si va avanti con i generatori, e per la gente che addirittura usa l’olio da cucina
al posto del gasolio per far funzionare le macchine, provocando un inquinamento terribile.
D.
– Il livello di scontro si è alzato all’interno delle fazioni palestinesi e tra gli
estremisti e Israele...
R. – Gaza è isolata dal mondo
e lo è da quando un anno fa, a giugno 2007, Hamas ha preso il potere. E’ isolata anche
dalla Cisgiordania, quindi dagli altri palestinesi. Non ci sono contatti con il resto
del mondo. L’unica mediazione è quella egiziana e la gente soffre tale situazione.
Allo stesso tempo è vittima – bisogna dire – di questo embargo durissimo di Israele,
ma è anche complice, perché c’è chi sostiene psicologicamente l’attività dei molti
gruppi estremisti che lanciano quasi ogni giorno razzi sulle vicine città israeliane.
Per questo parlavo di un circolo vizioso, di una spirale da cui è difficile uscire.
Bisognerebbe che qualcuno la smettesse, ma nessuna delle due parti è d’accordo su
questo punto; chi soffre è la popolazione civile.
D.
– L’annuncio di negoziati tra Israele e Siria che ripercussioni può avere sul terreno?
R.
– C’è la sensazione di un doppio binario. Da un lato ci sono le belle parole sulla
democrazia in Medio Oriente, le trattative con la Siria, la tregua con i palestinesi
di Gaza, tramite la mediazione egiziana; dall’altro c’è la realtà di tutti i giorni,
che è la miseria quotidiana, l’embargo per quelli che sono a Gaza, gli attentati terroristici,
i raid aerei. In realtà, purtroppo, non cambia assolutamente nulla.