Iniziata la visita "ad Limina" dei vescovi albanesi. Mons. Massafra: dopo 18 anni
di persecuzione la Chiesa è in grande risveglio, ma abbiamo bisogno di aiuto
E’ iniziata questa mattina in Vaticano - e si protrarrà fino a sabato prossimo - la
visita ad Limina dei vescovi dell’Albania. Mentre la storia politica recente
del Paese parla di una progressiva marcia di avvicinamento all’Unione Europea e alla
NATO, quella ecclesiale segna da tempo una non facile rinascita dalle ceneri della
persecuzione comunista, terminata 18 anni fa. Alessandro De Carolis traccia
in questa scheda uno spaccato della Chiesa albanese di ieri e di oggi:
(musica)
Il
cristianesimo in Albania è antico quanto il primo annuncio degli Apostoli. Fu probabilmente
lo stesso San Paolo ad annunciare il Vangelo durante le soste dei suoi viaggi in zone
del Paese, ed è un fatto che già 58 anni dopo la nascita di Cristo la città di Durazzo
abbia un suo vescovo, San Cesare. Nel IV secolo, quasi tutto il Paese risulterà cristianizzato,
con 50 sedi vescovili ripartite in tutto il territorio. Oggi i cattolici residenti
in Albania sono circa mezzo milione, distribuiti in due arcidiocesi e tre diocesi,
alle quali va aggiunta l’Amministrazione apostolica dell'Albania meridionale, che
riunisce i fedeli di rito bizantino appartenenti alla Chiesa greco-cattolica albanese
e quelli di Rito latino. Oltre la metà dei 3 milioni e 200 mila abitanti totali è
di religione islamica.
La storia recente parla invece
di 18 anni di ritrovata libertà - dal 1990 ad oggi - dopo 55 di persecuzione e martirio.
Il primo periodo del terrore antireligioso, dal 1945 al ’48, vede con l’avvento del
regime comunista le prime condanne a morte e la soppressione di opere cattoliche.
L'ateismo di Stato diventa la “fede” per l’Albania, portando all’espulsione dei religiosi
italiani e all’assassinio di 15 persone, tra clero e laici. Dalla metà degli Anni
cinquanta, la Chiesa vive la tormentata stagione del “silenzio” fino al crollo del
regime: la timida rinascita successiva trova il suggello e una nuova fioritura con
il viaggio apostolico di Giovanni Paolo II, nel 1993. Ma già quattro anni prima, un
evento aveva portato il segno dei tempi nuovi. Fin lì rinnegata nonostante la sua
straordinaria forza carismatica fra i poveri del mondo, l’albanese Gonxhe Bojaxhiu,
meglio conosciuta come Madre Teresa di Calcutta, torna nel suo Paese per la prima
volta nel 1989. Può pregare sulla tomba dei familiari e soprattutto permettere ai
cristiani di rialzare la testa e sperare in un futuro di libertà.
(musica)
Alla
vigilia della vista ad Limina, don Davide Gjugja, responsabile della
nostra redazione albanese, ha chiesto all’arcivescovo di Scutari, Angelo Massafra,
di descrivere lo spirito e le attese con i quali i vescovi albanesi si apprestano
all’incontro con Benedetto XVI:
R. -
Noi andremo a confermare al Papa la fedeltà della Chiesa in Albania, come è stato
nel passato; e poi certamente il Santo Padre, con le varie Congregazioni che andremo
ad incontrare, saprà leggere il positivo e le difficoltà che esistono nella nostra
Chiesa. Tra le altre cose, noi ringrazieremo per tutta la benevolenza, l’appoggio
ricevuto della Santa Sede, anche se adesso avremmo bisogno di essere appoggiati un
po’ più anche a livello economico, perché è un periodo mondiale molto negativo, e
anche noi viviamo, in Albania, questa recessione economica mondiale. Non vorremmo
essere lasciati soli, e lo diremo chiaramente alla Santa Sede e alle varie Congregazioni.
D.
- Come si presenta, attualmente, la Chiesa in Albania, dopo circa 18 anni dalla libertà
riconquistata, quella civile e quella religiosa?
R.
- Come una Chiesa molto viva: chiunque venga a partecipare alla nostra liturgia, a
vedere le nostre esperienze di fede, rimane veramente colpito da una vitalità, una
vivacità di esperienza di fede da far commuovere. Ad esempio, quelli che vengono dall’Europa
hanno perso questo entusiasmo. Io dico sempre a tutti i miei amici, o a chiunque viene:
aiutateci con la vostra preparazione, con il vostro bagaglio culturale. Però, venendo
qui, noi vi contagiamo con la nostra missionarietà, col nostro entusiasmo, ed è veramente
una cosa bella. Io già ho detto al Papa queste cose. Faccio parte del Pontificio Consiglio
Cor Unum, sono uno dei membri, e presentandomi al Papa gli ho detto in febbraio:
"Santità, le dò una bella notizia, la nostra Chiesa in Albania è in cammino, è in
crescita, ed è una cosa molto bella, molto positiva". E’ chiaro, questo non vuol dire
che non abbiamo difficoltà, che non abbiamo problemi, ma le croci che fanno parte
della nostra vita quotidiana dimostrano che la vitalità c’è.
D.
- Una Chiesa del silenzio, una Chiesa del martirio: è cominciato da un paio di anni
anche il processo a livello diocesano per la beatificazione di 40 martiri. Quali sono
le sfide che maggiormente la Chiesa oggi incontra nella nuova società d’Albania?
R.
- Intanto, il processo per i martiri l’abbiamo cominciato nel 2002 e speriamo, quest’anno,
di concluderlo per la fase diocesana. Certamente, le sfide sono quelle che dice anche
il Papa, che valgono per tutti: sono quelle del secolarismo, della volontà di arricchirsi
subito, quella dell’emigrazione esterna e anche interna, con popolazioni che si spostano,
con tanti problemi anche sulla famiglia. Abbiamo in preparazione, come Conferenza
episcopale albanese, una lettera pastorale proprio sulla famiglia, sulla vita. E poi,
pensiamo anche a un impegno maggiore nella nostra evangelizzazione, perché il cuore
del nostro fedele possa veramente innamorarsi di Cristo ed essere in continua conversione,
come ci chiede il Signore.
D. - La società d’Albania
è, da una parte, in continua crescita e sviluppo; inoltre per la Chiesa ci sono anche
le sfide nel dialogo interreligioso e in quello ecumenico...
R.
- Il cammino economico è in evidente crescita. Scutari, dopo anni di abbandono, sta
riprendendo la fisionomia di una città più moderna e questo dà speranza alla gente.
E’ chiaro che le altre sfide sono quelle dell’impegno cattolico nella società, nella
politica: un impegno serio, basato sui valori cristiani. Anche le altre sfide, tipiche
un po’ della nostra realtà albanese, riguardano il rapporto con i fedeli ortodossi
e il rapporto interreligioso con i fratelli musulmani. Qualche anno fa, abbiamo avuto
qualche piccolo problema, però attualmente viviamo in un periodo di buoni rapporti:
dunque, è un’esperienza molto bella, di rispetto dell’altro e di cammino.