2008-05-18 15:17:23

Il punto sul Festival di Cannes


Festival di Cannes, una settimana prima del verdetto finale. Le impressioni avute prima dell’inizio sono confermate: tanti film in cartellone, forse troppi, e una programmazione cervellotica che crea ingorghi, ansie, isterie. Sullo schermo, ricchi e poveri si confrontano in quattro film della selezione ufficiale, intrecciando dinamiche di pubblico e privato che fanno riflettere. “Un conte de Noël” di Arnaud Desplechin racconta di una famiglia composita della borghesia francese, popolata da individui bizzarri, compulsivi, al contempo drammatici e umoristici, come spesso la vita stessa ce li propone. Il motivo narrativo centrale è l’improvvisa scoperta di una malattia rara della madre, curabile solo con un trapianto rischioso. Da esso si dipartono tutte le possibili storie, di amori, amicizie, dissapori che animano il gruppo, riunito per Natale nella grande casa paterna. Desplechin è un bravo drammaturgo: sa come interessare il pubblico a vicende personali, come evitare i tempi morti, come mescolare il sorriso alla commozione. Meno attento alle profondità dell’animo umano, nonostante l’abituale bravura nei tempi di commedia, risulta invece “Vicky Cristina Barcelona” di Woody Allen. L’avventura delle sue due giovani protagoniste nel mondo catalano sa molto di dépliant turistico e di letteratura tascabile. Interpretato da attori di chiara fama, il film contiene le briciole di quell’umorismo che ha reso famoso il suo autore e si abbandona spesso agli stereotipi, sia sul piano dei luoghi filmati sia su quello delle tipicità americane e spagnole. Più dosato nella drammaturgia, più attento ai veri motivi che muovono l’animo umano, “Linha de passe” di Walter Salles e Daniela Thomas mostra invece i bisogni frustrati di una madre e dei suoi quattro figli, all’interno di una favela di San Paolo. Lontano da una caratterizzazione che privilegi l’estetica della miseria, i due cineasti brasiliani mettono in scena un mosaico di percorsi individuali, ciascuno perduto dietro a un suo sogno, dal ragazzo che vuole sfondare nel mondo del calcio a quello che vorrebbe incontrare suo padre, da quello che deve mantenere a sua volta una famiglia a quello che ha trovato nella fede il coraggio dei propri atti. Il risultato è un film che rende amari, come tutte le storie di illusioni perdute, ma che lascia, nonostante tutto, una speranza di tempi migliori. Amaro e commovente è infine forse il film migliore di questo inizio festival, “24 City” di Jia Zhangke che, mescolando i canoni del documentario e della finzione, ci trasporta nel mondo dei vinti. “24 City”, che prende il suo titolo su da una poesia cinese, racconta lo smantellamento del passato: la trasformazione irreversibile di Chengdu da città operaia a capitale d’affari, la morte di una classe operaia con i suoi miti, le storie di sofferenza e di speranza degli esseri umani, le generazioni che si succedono, il declino e il progresso del mondo. Nei volti filmati, nelle parole che pronunciano, negli spazi ormai deserti, la Cina diventa veramente il paradigma del mondo. (Da Cannes, Luciano Barisone) RealAudioMP3







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