Dibattito all'ONU sugli aiuti al Myanmar nonostante i divieti del regime: il commento
di mons. Migliore
Aumenta la pressione della comunità internazionale sul governo del Myanmar perché
consenta ai soccorritori stranieri di aiutare gli oltre 2 milioni e mezzo di sfollati
a causa del ciclone Nargis. Nel Paese la situazione resta gravissima: l'ultimo bilancio
governativo parla di 34 mila morti. Secondo l'ONU, invece, le vittime sarebbero più
di 100 mila. E la comunità internazionale si sta interrogando sulle modalità di un
intervento a sostegno della popolazione nonostante i divieti del regime. Le Nazioni
Unite hanno in programma un vertice urgente sul caso. Il Papa ha accennato a tale
questione nel suo recente discorso all’ONU, quando ha richiamato con forza il principio
della responsabilità di protezione degli Stati verso le popolazioni civili. Ma come
si guarda a questa possibilità in ambito ONU? Massimiliano Menichetti lo ha
chiesto all'arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa
Sede presso l’ONU:
R. – A livello
umanitario, la risposta è stata pronta e l’Ufficio per il coordinamento delle emergenze
umanitarie, che peraltro costituisce il fiore all’occhiello delle Nazioni Unite ha
messo a punto un piano di assistenza rapido ed efficiente. Venerdì scorso c’è stato
il lancio dell’appello umanitario e l’obiettivo è stato raggiunto con stanziamenti
immediati ed impegni a corto termine. Sul versante politico, quello che riguarda la
responsabilità di protezione, è in atto un vivace scambio di opinione all’interno
del Consiglio di Sicurezza, il quale però finora non ha prodotto alcun tipo di dichiarazione.
Il ministro francese Kouchner ha detto chiaramente che questo è un caso in cui va
applicata la responsabilità della protezione e si è anche impegnato a far passare
una risoluzione. Ma finora sembrano vincere le resistenze all’applicazione di tale
principio e soprattutto da parte asiatica, col motivo che il Consiglio di Sicurezza
si occupa della sicurezza politico-militare e non di quella relativa alle calamità
naturali.
D. – Quali potrebbero essere gli strumenti
per poter aiutare la popolazione che si trova nel bisogno? Una decisione in tal senso
potrebbe entrare tra le prerogative e i compiti delle Nazioni Unite?
R.
– In questi frangenti, già così desolati e devastanti, non è il caso di pensare a
prove di forza. Inoltre la situazione umanitaria si pone in termini abbastanza chiari.
La risposta a livello internazionale è buona, gli aiuti ci sono e seppur con lentezza
stanno giungendo sul posto. Ciò che si deve vincere è la resistenza del regime ad
una cooperazione agile e competente, che richiede l’aiuto di esperti e di mezzi adeguati.
Penso che un’opera di convinzione e di pressione da parte di alcuni Paesi dell’area
potrebbe sciogliere i nodi della resistenza ed ottenere che l’assistenza e la protezione
delle popolazioni colpite venga assicurata. Il segretario generale, Ban Ki-moon, per
parte sua, si sta adoperando in questo senso. Ma finora, come ha detto lui stesso,
ha incontrato soltanto il silenzio.
D. – Il Papa
chiedeva nel suo discorso all'ONU un’assunzione di responsabilità da parte dei governi
per tutelare i propri cittadini e non solo da crisi provocate dalla natura, ma anche
da violazioni gravi e continue dei diritti umani. In quali altri casi, dunque, si
potrebbero auspicare pressioni più decise da parte della Comunità internazionale sui
governi che non ottemperano al loro dovere? Anche se non possiamo negare che la questione
è complessa e potrebbe dare adito anche ad abusi. Quale orientamento lei si sentirebbe
di proporre nell’ambito dell’ONU?
R. – Il concetto
di responsabilità della protezione venne timidamente enunciato dalla Dichiarazione
dei capi di Stato e di governo, riunitisi a New York nel 2005. In quel contesto la
responsabilità di proteggere richiamava soprattutto il diritto e il dovere della Comunità
internazionale di fronte a situazioni intollerabili. Il Papa, parlando all’assemblea
generale, ha riportato tale concetto alla sua radice e cioè la responsabilità della
protezione e della promozione delle popolazioni come senso e contenuto della sovranità
internazionale. Questo è un concetto che deve farsi strada dapprima nelle coscienze
e nella condotta di ogni governo. Ma dobbiamo trovare anche delle formule adeguate
per superare il paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere subordinato
alle decisioni di pochi, al veto anche di un solo Paese. E questo perchè – come ha
ancora ammonito Benedetto XVI – quando si è di fronte a nuove ed insistenti sfide
come questa, sarebbe un errore tornare indietro ad un approccio pragmatico, limitato
a determinare un terreno comune minimale nei contenuti e debole nei suoi effetti.