Si sta rivelando di proporzioni catastrofiche il terremoto che ha colpito oggi la
Cina: secondo l'agenzia ufficiale Xinhua avrebbe provocato tra le 3.000 e le 5.000
vittime in una sola contea della provincia di Sichuan. L'agenzia aggiunge che nella
contea di Beichuan, si temono almeno 10.000 feriti. Inoltre, circa 900 studenti si
troverebbero sotto le macerie dopo il crollo della loro scuola. Il primo ministro
cinese, Wen Jiabao, è arrivato sul luogo del terremoto ed ha affermato che si tratta
di “un disastro”. Il premier ha invitato i leader locali ad essere “in prima fila”
negli aiuti alle popolazioni colpite e ha aggiunto che la sicurezza della popolazione
deve essere messa al primo posto. L'epicentro è stato a circa 100 chilometri a nordovest
della capitale della provincia, Chengdu, nella prefettura autonoma di Aba, che ha
una forte componente di popolazione etnicamente tibetana. E’ accaduto dunque non lontano
da una delle zone dove, in marzo e aprile, si sono svolte alcune delle proteste anticinesi
della locale popolazione tibetana. Il presidente cinese, Hu Jintao, ha chiesto soccorsi
immediati per le vittime e sono stati inviati sul posto anche reparti dell'esercito.
La scossa è stata avvertita a migliaia di chilometri di distanza in un'area che va
da Pechino - a circa duemila chilometri da Chengdu - alla capitale della Thailandia,
Bangkok e a quella di Taiwan, Taipei. A Chengdu, a Pechino e in altre città cinesi,
migliaia di persone sono uscite nelle strade. Una testimone ha riferito all'ANSA che
a Chengdu non ci sono stati crolli, ma alcuni edifici mostrano delle crepe. L'aeroporto
della città è stato chiuso. Un impiegato della Nokia, che lavora negli uffici della
Compagnia in un grattacielo nel centro di Pechino, ha affermato di aver sentito il
pavimento tremare per “due o tre minuti” prima di darsi alla fuga con i suoi colleghi.
Libano Resta drammatica la situazione in Libano. Sono ripresi questa
mattina gli scontri a fuoco a Tripoli, 90 chilometri a nord di Beirut tra seguaci
dell'opposizione libanese, guidata dal movimento sciita Hezbollah, e attivisti della
coalizione di governo. Ieri, invece, almeno 36 persone sono rimaste uccise nei violenti
combattimenti nella regione montagnosa a nord-est della capitale. Intanto, vasta eco
hanno avuto le parole di Benedetto XVI, che ieri al Regina Coeli in Piazza
San Pietro, ha esortato i libanesi ad abbandonare ogni logica di contrapposizione
aggressiva, mentre la diplomazia internazionale cerca di risolvere la crisi, a cominciare
dall’elezione del presidente della Repubblica. Secondo numerosi analisti ci sarebbe,
infatti, un accordo sul capo dell’esercito, il generale Suleiman, ma Hezbollah frena,
chiedendo un governo in cui la componente sciita sia più forte. È possibile un accordo?
Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Roger Bouchahine, direttore dell’Osservatorio
Geopolitico mediorientale:
R. -
Un accordo vero e proprio in questo momento sarebbe quasi dettare legge da parte di
Hezbollah in Libano. Non so se si può definire una situazione più grave negli ultimi
trent’anni della vita libanese. Hezbollah non accetterà nessun accordo, non cederà
alla attuale maggioranza. Detta legge in Libano.
D.
- Quanto è cambiato il panorama politico libanese dopo questa ultima crisi?
R
. - A causa del grande errore dell’ONU di non applicare la risoluzione 1559, che vuol
dire il disarmo totale di tutte le milizie, comprese quelle di Hezbollah, ci siamo
trovati in uno Stato dentro lo Stato, con delle armi micidiali contro i libanesi stessi
e la situazione è degenerata in un appropriamento di Hezbollah di tanti villaggi,
di tante aree, dall’aeroporto, al porto, alle zone strategiche come la zona del Chuf
delle montagne del Libano. Hezbollah si sta appropriando completamente del Libano.
D.
- Ieri, Benedetto XVI ha lanciato un vibrante appello per il Libano. Quali sono state
le reazioni?
R. - Le reazioni chiaramente non hanno
diminuito il piano di Hezbollah di dover continuare con la sua strategia di terrorizzare
il popolo libanese. Io spero tanto nella diplomazia e negli uomini politici, perchè
cedano al loro orgoglio politico e cerchino di trovare una soluzione per migliorare
questo situazione: qui si sta parlando di una vera guerra civile.
Medio
Oriente Il ministro responsabile per i servizi di informazione egiziani, Omar
Suleiman, è giunto oggi in Israele per proporre le linee di un cessate il fuoco tra
le milizie armate palestinesi nella striscia di Gaza e Israele. Suleiman è stato subito
ricevuto a Tel Aviv dal ministro della Difesa, Barak, e vedrà successivamente il premier,
Olmert, e il ministro degli Esteri, Livni. La stampa locale riferisce intanto che
Israele condiziona, tra altre richieste, l'eventuale tregua alla restituzione del
soldato Ghilad Shalit, rapito nel giugno del 2006 da un commando palestinesi di Gaza.
Ma fonti di Hamas a Gaza, interpellate dalla Radio pubblica israeliana, hanno respinto
questa richiesta affermando che quella di Shalit è un'altra questione la cui soluzione
però potrebbe essere accelerata dopo la conclusione di una tregua.
Iran Cinque
uomini sono stati impiccati in Iran, perchè riconosciuti colpevoli di avere violentato
e ucciso una ragazza, dandole fuoco quando era ancora viva. Lo scrive oggi il quotidiano
Qods. Le esecuzioni sono avvenute ieri nella prigione di Qom, città santa sciita 130
chilometri a sud di Teheran, nella cui provincia era avvenuto, nell'agosto dell'anno
scorso, il delitto. Uno dei condannati, che ha confessato, ha detto che il gruppo
aveva rapito la giovane e l'aveva portata in una zona desertica. Dopo la violenza
di gruppo, la ragazza era stata accoltellata, inzuppata di benzina e data alle fiamme
per cercare di cancellare ogni traccia. In Iran, la pena di morte è prevista per diversi
reati, tra i quali l'omicidio, la rapina a mano armata, il traffico di droga, la violenza
carnale, l'apostasia, l'adulterio e la sodomia. Lo scorso anno, secondo Amnesty International,
sono state almeno 317 le esecuzioni capitali nella Repubblica islamica, che si è così
situata al secondo posto al mondo per numero di persone messe a morte dopo la Cina.
Serbia Conto
dei seggi in Serbia all'indomani del voto politico e amministrativo di ieri, che ha
segnato una netta avanzata del blocco liberale ed europeista del presidente, Boris
Tadic, ma senza attribuire ad alcuno una maggioranza assoluta certa. La lista liberale
"Per una Serbia europea", del presidente, Boris Tadic, è indicata al 38,75%, con almeno
102 seggi; il Partito radicale (SRS, ultranazionalista) e' al 29,2%, con 77 seggi;
il Partito Democratico di Serbia (DSS, conservatore) del premier uscente Vojislav
Kostunica si ferma all'11,34%, con 30 seggi. Si parla dunque di una non facile partita
per la formazione di una coalizione di governo stabile. Una situazione che sembra
rendere ora decisivo il peso delle forze minori, a cominciare dal Partito Socialista
(SPS), orfano di Slobodan Milosevic, riemerso dalle secche del declino dopo essersi
affidato al pragmatico quarantenne Ivica Dacic. In attesa dei dati ufficiali - ancora
incompleti e annunciati in forma definitiva per giovedì - le proiezioni del centro
demoscopico Cesid, confermano un 39% di voti alla lista 'Per una Serbia europeà di
Tadic: salita d'una decina di punti rispetto al gennaio 2007 e di almeno cinque rispetto
ai sondaggi della vigilia. Al 29% resta invece il Partito radicale (SRS, opposizione
ultranazionalista) di Tomislav Nikolic, prima forza del Paese dal 2003, che tiene,
ma non rispetta il pronostico di un balzo in avanti. I giornali, da parte loro, evidenziano
sia il successo dei filo-europei, sia le incognite parlamentari.
Sudan Le
Forze di sicurezza sudanesi hanno arrestato il leader dell'opposizione islamica, Hassan
al Turabi, e almeno altri quattro alti dirigenti del suo partito dopo l'attacco a
Khartoum da parte di ribelli del Darfur, storicamente legati a al Turabi. “Agenti
della sicurezza sono venuti questa mattina all'alba e hanno arrestato Turabi”, ha
detto il suo segretario privato, Awad Babiker. Il leader del gruppo ribelle Jem del
Darfur, Khalil Ibrahim, ha dichiarato che ci saranno altri attacchi contro la capitale
sudanese Khartoum, come quello sferrato sabato, fino a quando il governo sudanese
non cadrà. "Questo è solo l'inizio di un processo che terminerà solo con la fine di
questo regime", ha dichiarato Ibrahim, leader del gruppo ribelle Movimento per la
giustizia e l'uguaglianza (JEM), che ha ribadito poi: “Non vi aspettate solo un altro
attacco, questo è solo l'inizio”.
Zimbabwe Il governo dello Zimbawe
ha annunciato che non permetterà l'accesso di osservatori internazionali per il previsto
ballottaggio delle elezioni presidenziali fra il presidente uscente, Robert Mugabe,
e il leader dell'opposizione, Morgan Tsvangirai, a meno che non siano tolte le sanzioni
internazionali contro il Paese. Lo scrive oggi il giornale locale The Herald. Il ministro
della Giustizia, Patrick Chinamasa, ha affermato al giornale che molti Paesi occidentali
giocano da “attori” nella politica dello Zimbabwe e che il governo non cederà all'opposizione,
la quale ha chiesto la presenza di osservatori per monitorare il ballottaggio. “Non
li autorizzeremo perchè [i Paesi occidentali] sono degli attori. Ci ripenseremo se
leveranno le sanzioni. A meno che non lo facciano, non c'è alcuna possibilità di avere
rapporti con loro”. Tsvangirai, leader del Movimento per il cambiamento democratico
(MDC), che ha vinto le elezioni parlamentari, ritiene di aver vinto al primo turno
anche le presidenziali. Ma secondo i risultati ufficiali, resi noti dopo oltre un
mese, avrebbe invece ottenuto il 47,9% contro il 43,2% del "padre-padronè" Mugabe.
Tsvangirai ha detto che parteciperà al ballottaggio solo se sarà presente una forza
regionale di peacekeeping, se il voto sarà monitorato da osservatori internazionali,
se sarà garantito libero accesso dell'opposizione ai media e se cesseranno le violenze,
che dalle elezioni del 29 marzo hanno già fatto 32 morti.
Ucraina I
Servizi di sicurezza di Kiev hanno vietato al sindaco di Mosca, Iuri Luzhkov, di entrare
nel territorio ucraino dopo le dichiarazioni con cui ieri ha rivendicato alla Russia
la città di Sebastopoli in Crimea, sede della flotta russa sul Mar Nero, che domenica
scorsa ha celebrato il 225.mo anniversario della sua fondazione. Lo riferisce l'agenzia
Interfax. “Fino ad oggi i documenti storici indicano che Sebastopoli non è mai passata
all'Ucraina”, ha detto Luzhkov parlando nella città portuale in occasione della ricorrenza.
"La questione di Sebastopoli deve essere trasmessa a un tribunale internazional",
ha aggiunto il sindaco di Mosca, che ha sottolineato come tale città “sia sempre stata
sotto controllo diretto del governo sovietico” all'epoca dell'URSS. Luzhkov ha già
irritato in passato le autorità ucraine con dichiarazioni analoghe.
Russia Governo-lampo
in Russia, dove il neo premier Vladimir Putin, a quattro giorni dal voto di fiducia,
ha già varato il suo esecutivo, rinnovando solo parzialmente quello uscente e portando
con Sé i fedelissimi dal Cremlino. Cambio della guardia al vertice dei servizi di
sicurezza (FSB): Nikolai Patrushev diventa segretario del Consiglio di sicurezza e
viene sostituito da uno dei suoi vice, Bortnikov. Complessivamente sette i vicepremier,
di cui due primi: il premier uscente, Viktor Zubkov, che erediterà dal suo predecessore
ed ora neo presidente, Dmitri Medvedev, le deleghe ai progetti nazionali, ed Igor
Shuvalov (Rapporti commerciali con l'estero e WTO), ex vice capo dell'amministrazione
del Cremlino e consigliere presidenziale. Cinque i vicepremier, due in più rispetto
al governo precedente. Riconfermati i ministri chiave del governo precedente: Serghei
Lavrov (Esteri), Anatoli Serdiukov (Difesa), Rashid Nurgaliev (Interni) Kudrin (Finanze),
Elvira Nabiullina (Sviluppo economico). I nuovi ministri sono: l'ex viceprocuratore
di San Pietroburgo e docente di diritto, Aleksander Konovalov (Giustizia), ex allievo
di Medvedev all'Università, l'ex dirigente dell'amministrazione presidenziale, Igor
Shogolev (Telecomunicazioni), l'ex ambasciatore russo in Francia, Aleksander Avdieiev
(Cultura). E' stato inoltre creato il nuovo Ministero per lo sport e il turismo: ad
occuparlo è Vitali Mutko, presidente della Federazione calcio russa.
Indonesia Un
incendio scoppiato all'interno di un tempio buddista nella provincia di North Sumatra,
in Indonesia, Paese a stragrande maggioranza islamica, ha provocato la morte di almeno
sette persone e il ferimento di altre otto. Lo riferisce la polizia. Le vittime stavano
dormendo all'interno del tempio Aloviestra. Alcune di loro sono morte dopo essersi
lanciate dal secondo piano del tempio per sfuggire alle fiamme e al fumo. (Panoramica
internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 133 E'
possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del
Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
sito www.radiovaticana.org/italiano.