L'ONU accusa il regime del Myanmar e sospende l'invio di aiuti
Con il passare dei giorni, diventa sempre più drammatica la situazione in Myanmar
dove le vittime del ciclone Nargis sarebbero oltre 100 mila. L'ONU ha deciso di sospendere
l'invio di altri aiuti denunciando che i soccorsi finora arrivati sono stati "confiscati"
dal regime: la giunta infatti accetta gli aiuti materiali ma non permette l'ingresso
nel Paese ai soccorritori internazionali. Da parte sua la Conferenza episcopale italiana
per l'emergenza Myanmar ha stanziato due milioni di euro, dai fondi derivanti dall'otto
per mille. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
Le Nazioni
Unite hanno duramente criticato la decisione della giunta birmana di rifiutare l’ingresso
agli operatori umanitari stranieri, limitandosi ad accettare l’aiuto alimentare offerto
dalla comunità internazionale. “E’ una decisione senza precedenti nella storia”, ha
detto il portavoce del PAM, il Programma alimentare mondiale. Il portavoce ha precisato
che l’agenzia ha fatto richiesta di dieci visti, ma di avere poche possibilità di
ottenerli. Nel comunicato, diffuso stamani, il governo birmano ha precisato che a
distribuire gli aiuti stranieri ai superstiti del ciclone Nargis sarà esclusivamente
il personale birmano. Finora, sono arrivati a Yangon 12 aerei charter carichi di viveri
e altro materiale. Secondo gli esperti, il regime militare non sarebbe però in grado
di far fronte alla gravissima emergenza che ha colpito un milione e mezzo di persone,
la maggior parte nelle aree del delta meridionale dell’Irrawaddy. Secondo alcune testimonianze,
la situazione sarebbe disastrosa. Mancano soprattutto gli elicotteri in grado di raggiungere
quello che rimane dei villaggi che sono ancora in parte sommersi. Un contadino nella
zona di Labutta, epicentro del disastro, ha riferito di avere visto decine di cadaveri
affiorare dal fango e detriti. E’ paradossale che nonostante la catastrofe, la giunta
militare abbia fatto appello ai propri cittadini di recarsi alle urne per il referendum
costituzionale che si terrà come previsto domani nelle zone non interessate dal ciclone.
Mentre nel sud devastato, e in parte a Yangon, è stato rinviato di qualche settimana.
La
capitale Yangon non è stata gravemente danneggiata dal ciclone come altre aree del
Paese, anche grazie alla migliore solidità delle costruzioni. E’ quanto conferma,
al microfono di Amedeo Lomonaco, il missionario del PIME, padre Raffaele
Manenti, arrivato nella città birmana il giorno dopo l’arrivo del ciclone e raggiunto
telefonicamente a Bangkok:
R. - Sono
riuscito a partire lunedì mattina: dall’alto, in aereo, si vedevano le campagne allagate
con case semisommerse alla periferia nordest di Rangoon. E’ stata la prima impressione:
sembrava un grande bosco caduto.
D. - Cosa le hanno
detto i suoi confratelli?
R. - Quando li ho incontrati,
i miei confratelli erano piuttosto spaventati perché la notte era stata segnata dal
passaggio del ciclone: mancava l’energia elettrica che era stata interrotta dappertutto,
come pure le comunicazioni. E l’acqua non arrivava…
D.
- In città che situazione ha trovato?
R. - Andando
in giro si vedeva già molta gente: erano in molti ad impegnarsi a Yangon. C’erano
tanti militari in giro che avevano mezzi ancora rudimentali, di base. Ma era una distruzione
più delle cose. In città sembra che siano morte forse una cinquantina di persone.
Se si calcola che in città vivono oltre 6 milioni di persone, il dramma nella capitale
è stato contenuto. Questo perchè gli edifici della città sono costruiti in maniera
tale da non soccombere neanche a ciclone come Nargis.
D.
- Avevate notizie sulle drammatiche conseguenze del passaggio del ciclone anche al
di fuori di Rangoon?
R. - Fuori dalla città, nell’immediata
perifera, arrivavano già tragiche notizie: le case erano state tutte scoperchiate,
alcune distrutte. In alcune zone c’era ancora acqua alta, c’era gente che non poteva
accedere a scorte di cibo e quindi già incominciava ad avere problemi di fame.