2008-05-08 12:12:14

Simposio dei centri cattolici asiatici in Nepal. Padre Ardura: l'evangelizzazione del continente passa attraverso la croce e la testimonianza


Il Pontificio Consiglio della Cultura ha promosso nei giorni scorsi a Katmandu, in Nepal, un simposio dei centri culturali cattolici del sud-est asiatico. Al centro dell'incontro il rapporto tra messaggio cristiano, globalizzazione e culture tradizionali. In questo contesto qual è la principale sfida della Chiesa in Asia? Giovanni Peduto lo ha chiesto a padre Bernard Ardura, segretario del dicastero e coordinatore dell'evento:RealAudioMP3
 
R. – La sfida della Chiesa in Asia è proprio quella di riuscire a far capire che il messaggio di Cristo non è un messaggio estraneo; che è un messaggio universale e che proprio i loro valori, i loro costumi sono spesso come una preparazione all’annuncio del Vangelo. Naturalmente non dobbiamo dimenticare che tutte le culture, comprese le nostre, hanno bisogno di essere purificate da questa luce del Vangelo. In questo senso non dobbiamo aver paura di proporre il messaggio di Cristo, come veramente un elemento fondamentale per la dignità della persona umana e della società.

 
D. - In Asia si parla di “disorientamento” delle culture tradizionali ma nello stesso tempo si assiste ad una recrudescenza del nazionalismo culturale e religioso…

 
R. – naturalmente l’effetto della globalizzazione è un effetto universale e quello che osserviamo – ad esempio – nel mondo musulmano, lo possiamo riscontrare anche in Asia: queste culture tradizionali si sentono minacciate dall’esterno e da questi valori o controvalori, che sono comunicati attraverso la globalizzazione. C’è naturalmente un senso di difesa, mirato ad una sopravvivenza e che talvolta assume però degli aspetti negativi, di violenza e di esclusione dell’altro. Sarà, quindi, molto importante far sì che ci possa essere una apertura all’universale che sia fondato proprio su una identità chiara e pacifica di se stesso.

 
D. - Le minoranze cristiane rischiano la marginalizzazione se non, talora, forme di vera persecuzione…

 
R. – Direi che a questa domanda non si può dare una risposta generica. Faccio l’esempio del Nepal, che ho scoperto ora per la prima volta: in Nepal ci sono 27 milioni di abitanti e fino a 50 anni fa era come è oggi l’Arabia Saudita e, quindi, un Paese costituzionalmente induista e tutte le altre religioni erano proibite. 50 anni fa, il primo ministro fece venire dei gesuiti per occuparsi dell’apertura di alcune scuole, che è quello che è stato poi fatto ed oggi abbiamo in Nepal su 27 milioni di abitanti, un milione di protestanti e 6 mila cattolici. Quando osservo la città di Katmandu, caratterizzata da parecchi milioni di abitanti, penso che soltanto fino a circa 6-7 anni fa c’erano soltanto 35 cristiani e piuttosto cattolici; oggi sono invece 220 e contano ben più di 100 neofiti. Ho anche in un’altra città, non lontana da Katmandu, Pokra, una scuola aperta dai missionari di San Francesco Saverio del Pilar, che hanno più di 300 alunni e propri lì si può vedere come attraverso il contatto con i bambini e le famiglie ci sia un avvicinamento alla Chiesa e alla fede in Cristo. In questo senso, direi che in Nepal, la Chiesa – che è piccolissima – è una Chiesa molto viva e per questo posso dire di essere assolutamente pieno di speranza per il suo futuro.

 
D. - Perché in Asia il cristianesimo fa così tanta difficoltà a penetrare?

 
R. – Fa difficoltà a penetrare, credo per almeno due motivi: il primo, che è molto molto noto, è relativo al fatto che la Chiesa è stata evangelizzatrice attraverso dei missionari e fatta eccezione per la Corea che fu evangelizzata da coreani, tutti gli altri Paesi sono evangelizzati da missionari stranieri. Spesso viene quindi presentato il messaggio di Cristo come un messaggio che arriva da fuori, dall’estero, che è estraneo alla propria cultura. Questo è certamente un elemento forte e, quindi – come dicevo – si deve riuscire a dimostrare che questo messaggio è un messaggio universale, perchè Gesù ha detto agli Apostoli di andare in tutto il mondo per insegnare quello che lui stesso ha rilevato del Padre e battezzare tutti. C’è, però, un altro elemento e cioè che spesso – forse – non siamo abbastanza missionari: siamo molto preoccupati di portare un contributo allo sviluppo di questi Paesi e questa è certamente una cosa molto positiva. Noi cattolici, però, non possiamo accontentarci soltanto di questo e dobbiamo rilevare quello che è il nostro tesoro e quindi la nostra fede e cioè che Gesù Cristo è l’unico Salvatore e che è in grado di portare uomini e donne del nostro tempo e di tutti i continenti a vivere nell’amicizia con Lui e con il Padre, che ha voluto la nostra salvezza.

 
D. - Giovanni Paolo II aveva detto che il Terzo Millennio sarebbe stato caratterizzato dalla fioritura del cristianesimo in Asia…

 
R. – Una fioritura certo, ed io di questo ne sono convinto, ma una fioritura che non cammina senza la Croce. E’ importante capire che in alcuni di questi Paesi è pericoloso essere cristiano e soprattutto è importante che questa fioritura venga fatta a condizione, però, che la nostra vita di fede sia approfondita, sia vera. Come diceva Paolo VI “il mondo ha bisogno di testimoni”.







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