Simposio dei centri cattolici asiatici in Nepal. Padre Ardura: l'evangelizzazione
del continente passa attraverso la croce e la testimonianza
Il Pontificio Consiglio della Cultura ha promosso nei giorni scorsi a Katmandu, in
Nepal, un simposio dei centri culturali cattolici del sud-est asiatico. Al centro
dell'incontro il rapporto tra messaggio cristiano, globalizzazione e culture tradizionali.
In questo contesto qual è la principale sfida della Chiesa in Asia? Giovanni Peduto
lo ha chiesto a padreBernard Ardura, segretario del dicastero e
coordinatore dell'evento: R.
– La sfida della Chiesa in Asia è proprio quella di riuscire a far capire che il messaggio
di Cristo non è un messaggio estraneo; che è un messaggio universale e che proprio
i loro valori, i loro costumi sono spesso come una preparazione all’annuncio del Vangelo.
Naturalmente non dobbiamo dimenticare che tutte le culture, comprese le nostre, hanno
bisogno di essere purificate da questa luce del Vangelo. In questo senso non dobbiamo
aver paura di proporre il messaggio di Cristo, come veramente un elemento fondamentale
per la dignità della persona umana e della società.
D.
- In Asia si parla di “disorientamento” delle culture tradizionali ma nello stesso
tempo si assiste ad una recrudescenza del nazionalismo culturale e religioso…
R.
– naturalmente l’effetto della globalizzazione è un effetto universale e quello che
osserviamo – ad esempio – nel mondo musulmano, lo possiamo riscontrare anche in Asia:
queste culture tradizionali si sentono minacciate dall’esterno e da questi valori
o controvalori, che sono comunicati attraverso la globalizzazione. C’è naturalmente
un senso di difesa, mirato ad una sopravvivenza e che talvolta assume però degli aspetti
negativi, di violenza e di esclusione dell’altro. Sarà, quindi, molto importante
far sì che ci possa essere una apertura all’universale che sia fondato proprio su
una identità chiara e pacifica di se stesso.
D.
- Le minoranze cristiane rischiano la marginalizzazione se non, talora, forme di vera
persecuzione…
R. – Direi che a questa domanda non
si può dare una risposta generica. Faccio l’esempio del Nepal, che ho scoperto ora
per la prima volta: in Nepal ci sono 27 milioni di abitanti e fino a 50 anni fa era
come è oggi l’Arabia Saudita e, quindi, un Paese costituzionalmente induista e tutte
le altre religioni erano proibite. 50 anni fa, il primo ministro fece venire dei gesuiti
per occuparsi dell’apertura di alcune scuole, che è quello che è stato poi fatto ed
oggi abbiamo in Nepal su 27 milioni di abitanti, un milione di protestanti e 6 mila
cattolici. Quando osservo la città di Katmandu, caratterizzata da parecchi milioni
di abitanti, penso che soltanto fino a circa 6-7 anni fa c’erano soltanto 35 cristiani
e piuttosto cattolici; oggi sono invece 220 e contano ben più di 100 neofiti. Ho anche
in un’altra città, non lontana da Katmandu, Pokra, una scuola aperta dai missionari
di San Francesco Saverio del Pilar, che hanno più di 300 alunni e propri lì si può
vedere come attraverso il contatto con i bambini e le famiglie ci sia un avvicinamento
alla Chiesa e alla fede in Cristo. In questo senso, direi che in Nepal, la Chiesa
– che è piccolissima – è una Chiesa molto viva e per questo posso dire di essere assolutamente
pieno di speranza per il suo futuro.
D. - Perché
in Asia il cristianesimo fa così tanta difficoltà a penetrare?
R.
– Fa difficoltà a penetrare, credo per almeno due motivi: il primo, che è molto molto
noto, è relativo al fatto che la Chiesa è stata evangelizzatrice attraverso dei missionari
e fatta eccezione per la Corea che fu evangelizzata da coreani, tutti gli altri Paesi
sono evangelizzati da missionari stranieri. Spesso viene quindi presentato il messaggio
di Cristo come un messaggio che arriva da fuori, dall’estero, che è estraneo alla
propria cultura. Questo è certamente un elemento forte e, quindi – come dicevo – si
deve riuscire a dimostrare che questo messaggio è un messaggio universale, perchè
Gesù ha detto agli Apostoli di andare in tutto il mondo per insegnare quello che lui
stesso ha rilevato del Padre e battezzare tutti. C’è, però, un altro elemento e cioè
che spesso – forse – non siamo abbastanza missionari: siamo molto preoccupati di
portare un contributo allo sviluppo di questi Paesi e questa è certamente una cosa
molto positiva. Noi cattolici, però, non possiamo accontentarci soltanto di questo
e dobbiamo rilevare quello che è il nostro tesoro e quindi la nostra fede e cioè che
Gesù Cristo è l’unico Salvatore e che è in grado di portare uomini e donne del nostro
tempo e di tutti i continenti a vivere nell’amicizia con Lui e con il Padre, che ha
voluto la nostra salvezza.
D. - Giovanni Paolo II
aveva detto che il Terzo Millennio sarebbe stato caratterizzato dalla fioritura del
cristianesimo in Asia…
R. – Una fioritura certo,
ed io di questo ne sono convinto, ma una fioritura che non cammina senza la Croce.
E’ importante capire che in alcuni di questi Paesi è pericoloso essere cristiano e
soprattutto è importante che questa fioritura venga fatta a condizione, però, che
la nostra vita di fede sia approfondita, sia vera. Come diceva Paolo VI “il mondo
ha bisogno di testimoni”.