Referendum in Bolivia: Paese a rischio di guerra civile
Oggi oltre 3 milioni 700mila boliviani devono decidere con un "sì" o con "no" se accettano
o rifiutano la nuova Carta costituzionale - 411 articoli e 12 disposizioni transitorie
- approvata con il solo appoggio dei partiti e movimenti che sostengono il governo
del presidente Evo Morales lo scorso 7 dicembre. Inoltre, con un secondo referendum,
gli elettori devono decidere anche il futuro di una "riforma territoriale che stabilisce
l'estensione massima dei possedimenti agricoli", in pratica la riforma agraria. A
queste due importanti consultazioni, di per sé già molto contrastate nel Paese, si
aggiunge una terza, non autorizzata da parte del Tribunale supremo elettorale, che
nel Dipartimento di Santa Cruz chiede ai cittadini di sancire col voto popolare, cosa
più che probabile, una forte autonomia amministrativa e finanziaria rispetto al governo
centrale di La Paz.
In passato, qui, ma anche in altri Dipartimenti governati
da forze che si oppongono a Evo Morales - Benin, Pando e Tarija - in consultazioni
informali la stragrande maggioranza ha votato in favore di tale autonomia. Va ricordato
che il Tribunale supremo elettorale aveva chiesto la sospensione dei referendum per
le gravi tensioni nel Paese. Richiesta che non è stata accolta. Il Tribunale chiedeva
che si svolgesse prima un dialogo tra il presidente e i leader dei Dipartimenti all'opposizione,
lo stesso dialogo che a più riprese hanno chiesto l'Unione Europea, l'Organizzazione
degli Stati Americani (OSA) e la Chiesa cattolica, impegnata da mesi, per volere delle
due parti, nella ricerca di un minimo di condizioni per sedersi ad uno stesso tavolo
e cercare soluzioni pacifiche e concordate. Purtroppo tutti gli appelli sono rimasti
inascoltati. Qualche giorno fa, la Conferenza episcopale informava il Paese sullo
stallo della situazione. “Nonostante siano stati identificati i punti principali per
il dialogo che dovrebbe aprire vie per risolvere il conflitto, non esistono tuttora
le condizioni per avviare questo incontro”, ha dichiarato mons. Jesús Juárez Párraga,
vescovo della diocesi di El Alto, segretario della Conferenza episcopale.
Ora,
oggi, si vota e in molti, fuori e dentro della Bolivia, temono il peggio: scontri
violenti in diverse città così come accadde già mesi fa. I numerosi scontri politici
hanno lasciato gravi lutti e sofferenze, in particolare tra le popolazioni meno abbienti.
In Bolivia, oggi, per ampi settori della popolazione la posta in gioco è molto alta
e, a complicare le cose, s’intrecciano problemi secolari che hanno diviso la nazione
tra bianchi e indios, tra poveri e ricchi, fra regioni scarsamente produttive e aree
all’avanguardia dello sviluppo tecnico-economico. Col passare delle ore il clima si
fa sempre più teso e perciò, i vescovi, hanno ripetuto in queste ore: :“Tutti gli
attori coinvolti in questo processo sono chiamati a misurare la grave responsabilità
che pesa su ciascuno e, dunque, a far sì che prevalga una chiara volontà di dialogo
sostenuta da gesti e atteggiamenti coerenti”. Infine, i presuli invitano tutti a lavorare
per “evitare altri scontri che possano far esplodere la violenza”. (A cura di Luis
Badilla)