Dal Mozambico ai rifugiati in Italia: la vita accanto agli ultimi del missionario
comboniano Claudio Crimi
Trovare in Cristo la forza per non arrendersi mai. E’ lo spirito che, da sempre, anima
l’impegno per il prossimo bisognoso di padre Claudio Crimi, missionario comboniano
che dopo un’esperienza trentennale in Mozambico è ora da alcuni anni responsabile
dell’ACSEP, l’Associazione Comboniana Servizio Emigranti e Profughi. Intervistato
da Alessandro Gisotti, padre Crimi esorta i giovani a lasciarsi incontrare
da Cristo e a cambiare la propria vita dedicandola agli altri:
(musica)
R.
– Ho imparato a casa mia, da mio padre, mia madre, la sensibilità verso i poveri.
Soprattutto mia madre, ricordo che mi diceva una cosa: “Quando cade un pezzo di pane
per terra, raccoglilo e bacialo, perchè tu non sai cosa vuol dire la fame”. Queste
cose mi hanno sempre colpito e quando ho sentito parlare di gente che aveva bisogno,
mi sono sentito spinto a dover fare qualcosa. Poi la fede, nel senso che l’esperienza
di tutti i giorni mi ha portato a fare una scelta in cui Gesù Cristo diventa qualcuno
di veramente importante. Siccome ho vissuto a lungo in zone di guerra, il problema
della morte diventa quotidiana. E, quindi, la domanda è: “E dopo?” Se noi non crediamo
alla Risurrezione di Cristo, diventa veramente assurdo vivere.
D.
– Dalla lunga esperienza in Mozambico, all’impegno ora con i profughi e con i rifugiati.
Come si testimonia la speranza evangelica in contesti, in situazioni spesso molto
difficili?
R. – Ho lavorato tra i rifugiati del Mozambico
che erano fuggiti durante la guerra. C’era, però, il ritorno a casa. Là c’era già
una speranza abbastanza concreta: “Torno a casa, ho il mio campo e lavoro”. Quindi,
la speranza era concreta. Qui in Italia è un po’ più difficile. Ho notato che le motivazioni
che li spingono a venire sono veramente pesanti. La gente che viene dall’Africa è
tutta credente. I non credenti li troviamo qui in Europa. Loro chiedono sempre: “Di
che religione sei?” Ad uno che ha detto: “Io sono ateo”, un vecchio ha risposto: “Da
noi solo i cani sono atei!”. Se c’è questa credenza in Dio è anche più facile dire:
“Non aver paura, adesso c’è da lottare, mettiamoci assieme, uniamo le nostre forze,
perchè Dio ci accompagna sempre, anche dopo la morte”.
D.
– Come spiegherebbe ad un giovane di oggi, magari annoiato e insoddisfatto, la bellezza
della sua missione?
R. – Ai giovani di oggi bisogna
dare un futuro e cioè essere capaci di costruire qualcosa di buono che possa servire
a se stessi e agli altri. Se il mondo è veramente uno e noi ci sentiamo tutti come
se fossimo dentro ad una canoa, mettiamola così – l’ho raccontato varie volte per
le esperienze passate – e la gente sulla canoa si dà delle botte in testa, va a finire
che si rovescia la canoa e andiamo a picco tutti. Allora, dobbiamo unire le forze.
I giovani di fronte a questo capiscono. La situazione più difficile è il non avere
qui una speranza concreta. D’altra parte, ho visto che i giovani si entusiasmano e
questa è veramente la cosa bella dei giovani. Bisogna dare una speranza futura e bisogna
avere capacità di sacrificio. E qui ritorno al tema: Gesù non è stato ammazzato per
niente! Gesù Cristo ha parlato chiaro, dicendo la verità con un amore infinito. Bisogna
accettare e capire che è l’unica via che ci porta alla Salvezza!