La vostra missione è "recare il Vangelo a tutti, perchè tutti sperimentino la gioia
di Cristo e ci sia gioia in ogni città": così il Papa a 29 diaconi che hanno ricevuto
stamani l'ordinazione sacerdotale
Il Papa ha presieduto stamani la Santa Messa per l'ordinazione sacerdotale di 29 diaconi
della diocesi di Roma. Di seguito, il testo dell'omelia:
Cari fratelli e
sorelle!
Si realizza oggi per noi, in modo tutto
particolare, la parola che dice: “Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia”
(Is 9,2). Infatti, alla gioia di celebrare l’Eucaristia nel giorno del Signore, si
sommano l’esultanza spirituale del tempo di Pasqua giunto ormai alla sesta domenica,
e soprattutto la festa dell’Ordinazione di nuovi Sacerdoti. Insieme a voi saluto con
affetto i 29 Diaconi che tra poco saranno ordinati presbiteri. Esprimo viva riconoscenza
a quanti li hanno guidati nel loro cammino di discernimento e di preparazione, ed
invito voi tutti a rendere grazie a Dio per il dono alla Chiesa di questi nuovi sacerdoti.
Sosteniamoli con intensa preghiera durante la presente celebrazione, in spirito di
fervida lode al Padre che li ha chiamati, al Figlio che li ha attirati a sé, allo
Spirito che li ha formati. Solitamente l’Ordinazione dei nuovi sacerdoti avviene nella
IV Domenica di Pasqua, detta Domenica del Buon Pastore, che è anche la Giornata Mondiale
di Preghiera per le Vocazioni, ma quest’anno non è stato possibile, perché ero in
partenza per la visita pastorale negli Stati Uniti d’America. L’icona del Buon Pastore
sembra essere quella che più d’ogni altra pone in luce il ruolo e il ministero del
presbitero nella comunità cristiana. Ma anche i passi biblici, che l’odierna liturgia
offre alla nostra meditazione, illuminano, secondo un’angolatura diversa, la missione
del sacerdote. La prima Lettura, tratta dal capitolo VIII degli
Atti degli Apostoli, narra la missione del diacono Filippo in Samaria. Vorrei attirare
immediatamente l’attenzione sulla frase che chiude la prima parte del testo: “E vi
fu grande gioia in quella città” (At 8,8). Questa espressione non comunica un’idea,
un concetto teologico, ma riferisce un avvenimento circostanziato, qualcosa che ha
cambiato la vita delle persone: in una determinata città della Samaria, nel periodo
che seguì la prima violenta persecuzione contro la Chiesa a Gerusalemme (cfr At 8,1),
venne ad accadere qualcosa che causò “grande gioia”. Che cosa era dunque successo?
Narra l’Autore sacro che, per sfuggire alla persecuzione scoppiata a Gerusalemme contro
coloro che si erano convertiti al cristianesimo, tutti i discepoli, tranne gli Apostoli,
abbandonarono la Città santa e si dispersero all’intorno. Da questo evento doloroso
scaturì, in maniera misteriosa e provvidenziale, un rinnovato impulso alla diffusione
del Vangelo. Fra coloro che si erano dispersi c’era anche Filippo, uno dei sette diaconi
della Comunità, diacono come voi, cari Ordinandi, anche se in modalità certamente
diverse, poiché nella stagione irripetibile della Chiesa nascente, gli Apostoli e
i diaconi erano dotati dallo Spirito Santo di una potenza straordinaria sia nella
predicazione che nell’azione taumaturgica. Or avvenne che gli abitanti della località
samaritana, di cui si parla in questo capitolo degli Atti degli Apostoli, accolsero
unanimi l’annuncio di Filippo e, grazie alla loro adesione al Vangelo, egli poté guarire
molti malati. In quella città della Samaria, in mezzo a una popolazione tradizionalmente
disprezzata e quasi scomunicata dai Giudei, risuonò l’annuncio di Cristo che aprì
alla gioia il cuore di quanti l’accolsero con fiducia. Ecco perché dunque - sottolinea
san Luca - in quella città “vi fu grande gioia”.
Cari
amici, questa è anche la vostra missione: recare il Vangelo a tutti, perché tutti
sperimentino la gioia di Cristo e ci sia gioia in ogni città. Che cosa ci può essere
di più bello di questo? Che cosa di più grande, di più entusiasmante, che cooperare
a diffondere nel mondo la Parola di vita, che comunicare l’acqua viva dello Spirito
Santo? Annunciare e testimoniare la gioia: è questo il nucleo centrale della vostra
missione, cari diaconi che tra poco diventerete sacerdoti. L’apostolo Paolo chiama
i ministri del Vangelo “servitori della gioia”. Ai cristiani di Corinto, nella sua
Seconda Lettera, egli scrive: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede;
siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi”
(2 Cor 1,24). Sono parole programmatiche per ogni sacerdote. Per essere collaboratori
della gioia degli altri, in un mondo spesso triste e negativo, bisogna che il fuoco
del Vangelo arda dentro di voi, che abiti in voi la gioia del Signore. Allora solo
potrete essere messaggeri e moltiplicatori di questa gioia recandola a tutti, specialmente
a quanti sono tristi e sfiduciati.
Torniamo alla
prima Lettura, che ci offre un altro elemento di meditazione. Vi si parla di una riunione
di preghiera, che avviene proprio nella città samaritana evangelizzata dal diacono
Filippo. A presiederla sono gli apostoli Pietro e Giovanni, due “colonne” della Chiesa,
venuti da Gerusalemme per far visita a questa nuova comunità e confermarla nella fede.
Grazie all’imposizione delle loro mani, lo Spirito Santo scese su quanti erano stati
battezzati. Possiamo vedere in quest’episodio una prima attestazione del rito della
“Confermazione”, il secondo Sacramento dell’iniziazione cristiana. Anche per noi,
qui riuniti, il riferimento al gesto rituale dell’imposizione delle mani è quanto
mai significativo. E’ infatti il gesto centrale anche del rito di Ordinazione, mediante
il quale tra poco io conferirò ai candidati la dignità presbiterale. E’ un segno inseparabile
dalla preghiera, della quale costituisce un prolungamento silenzioso. Senza dire parole,
il Vescovo consacrante e dopo di lui gli altri sacerdoti pongono le mani sul capo
degli ordinandi, esprimendo così l’invocazione a Dio perché effonda il suo Spirito
su di loro e li trasformi rendendoli partecipi del Sacerdozio di Cristo. Si tratta
di pochi secondi, un tempo brevissimo, ma carico di straordinaria densità spirituale.
Cari Ordinandi, in futuro dovrete sempre ritornare a questo momento, a questo gesto
che non ha nulla di magico, eppure è così ricco di mistero, perché qui è l’origine
della vostra nuova missione. In quella preghiera silenziosa avviene l’incontro tra
due libertà: la libertà di Dio, operante mediante lo Spirito Santo, e la libertà dell’uomo.
L’imposizione delle mani esprime plasticamente la specifica modalità di questo incontro:
la Chiesa, impersonata dal Vescovo in piedi con le mani protese, prega lo Spirito
Santo di consacrare il candidato; il diacono, in ginocchio, riceve l’imposizione della
mani e si affida a tale mediazione. L’insieme dei gesti è importante, ma infinitamente
più importante è il movimento spirituale, invisibile, che esso esprime; movimento
ben evocato dal sacro silenzio, che tutto avvolge all’interno e all’esterno.
Ritroviamo
questo misterioso “movimento” trinitario, che conduce lo Spirito Santo e il Figlio
a dimorare nei discepoli, anche nella pericope evangelica. Qui è Gesù stesso a promettere
che pregherà il Padre affinché mandi ai suoi lo Spirito, definito “un altro Paraclito”
(Gv 14,16), termine greco che equivale al latino “ad-vocatus”, avvocato difensore.
Il primo Paraclito infatti è il Figlio incarnato, venuto per difendere l’uomo dall’accusatore
per antonomasia, che è satana. Nel momento in cui Cristo, compiuta la sua missione,
ritorna al Padre, questi invia lo Spirito, come Difensore e Consolatore, perché resti
per sempre con i credenti abitando dentro di loro. Così, tra Dio Padre e i discepoli
si instaura, grazie alla mediazione del Figlio e dello Spirito Santo, una relazione
intima di reciprocità: “Io sono nel Padre e voi in me e io in voi”, dice Gesù (Gv
14,20). Tutto questo dipende però da una condizione che Cristo pone chiaramente all’inizio:
“Se mi amate” (Gv 14,15), e che ripete alla fine: “Chi mi ama sarà amato dal Padre
mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,21). Senza l’amore per Gesù,
che si attua nell’osservanza dei suoi comandamenti, la persona si esclude dal movimento
trinitario e inizia a ripiegarsi su se stessa, perdendo la capacità di ricevere e
comunicare Dio.
“Se mi amate”. Cari amici, queste
parole Gesù le ha pronunciate durante l’Ultima Cena nel momento in cui contestualmente
istituiva l’Eucaristia e il Sacerdozio. Pur rivolte agli Apostoli, esse, in un certo
senso, sono indirizzate a tutti i loro successori e ai sacerdoti, che sono i più stretti
collaboratori dei successori degli Apostoli. Noi le riascoltiamo quest’oggi come un
invito a vivere sempre più coerentemente la nostra vocazione nella Chiesa: voi, cari
Ordinandi, le ascoltate con particolare emozione, perché proprio oggi Cristo vi rende
partecipi del suo Sacerdozio. Accoglietele con fede e con amore! Lasciate che si imprimano
nel vostro cuore, lasciate che vi accompagnino lungo il cammino dell’intera vostra
esistenza. Non dimenticatele, non smarritele per la strada! Rileggetele, meditatele
spesso e soprattutto pregateci su. Rimarrete così fedeli all’amore di Cristo e vi
accorgerete con gioia sempre nuova di come questa sua divina Parola “camminerà” con
voi e “crescerà” in voi.
Un’osservazione ancora sulla
seconda Lettura: è tratta dalla Prima Lettera di Pietro, presso il cui sepolcro ci
troviamo e alla cui intercessione vorrei in modo speciale affidarvi. Faccio mie e
vi consegno con affetto le sue parole: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori,
pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”
(1 Pt 3,15). Adorate Cristo Signore nei vostri cuori: coltivate cioè una relazione
personale d’amore con Lui, amore primo e più grande, unico e totalizzante, dentro
il quale vivere, purificare, illuminare e santificare tutte le altre relazioni. La
“speranza che è in voi” è legata a questa “adorazione”, a questo amore di Cristo,
che per lo Spirito, come dicevamo, abita in noi. La nostra speranza, la vostra speranza
è Dio, in Gesù e nello Spirito. Speranza che da oggi diventa in voi “speranza sacerdotale”,
quella di Gesù Buon Pastore, che abita in voi e dà forma ai vostri desideri secondo
il suo Cuore divino: speranza di vita e di perdono per le persone che saranno affidate
alle vostre cure pastorali; speranza di santità e di fecondità apostolica per voi
e per tutta la Chiesa; speranza di apertura alla fede e all’incontro con Dio per quanti
vi accosteranno nella loro ricerca della verità; speranza di pace e di conforto per
i sofferenti e i feriti dalla vita.
Carissimi, ecco
il mio augurio in questo giorno per voi tanto significativo: che la speranza radicata
nella fede possa diventare sempre più vostra! E possiate voi esserne sempre testimoni
e dispensatori saggi e generosi, dolci e forti, rispettosi e convinti. Vi accompagni
in questa missione e vi protegga sempre la Vergine Maria, che vi esorto ad accogliere
nuovamente, come fece l’apostolo Giovanni sotto la Croce, quale Madre e Stella della
vostra vita e del vostro sacerdozio. Amen!