2008-04-26 13:01:29

Dieci anni fa, il brutale assassinio in Guatemala di mons. Juan Josè Gerardi, ucciso dopo la pubblicazione di un rapporto di denuncia sui crimini commessi durante la guerra civile


Erano le dieci di sera di domenica 26 aprile del 1998: mons. Juan Josè Gerardi, vescovo ausiliare di Città del Guatemala, veniva ucciso nella sua parrocchia di San Sebastián. Le indagini sull'omicidio hanno portato all'arresto di tre uomini, accusati di essere stati gli autori materiali dell'assassinio. Non sono invece ancora stati individuati i mandanti. Oggi, nel decimo anniversario della morte di mons. Gerardi, sono previste liturgie di suffragio e cerimonie commemorative per ricordare il vescovo, uomo di fede e grande difensore dei diritti umani. Due giorni prima di essere ucciso, il presule aveva presentato un’accurata indagine sui crimini perpetrati in Guatemala nel periodo della guerra civile, sia dall’esercito sia dalla guerriglia. Sui segni lasciati nel Paese centroamericano e nella Chiesa guatemalteca da quel brutale assassinio, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco, Luis Badilla, esperto dell’America Latina della nostra emittente:RealAudioMP3


L’omicidio di mons. Gerardi è una ferita non ancora chiusa. Il popolo guatemalteco ne soffre le conseguenze poiché percepisce che l'impunità, nonostante la pace e democrazia ritrovate, non è stata sconfitta. Giorni fa il cardinale Rodolfo Quezada Toruño, arcivescovo della capitale guatemlateca, ha detto: “La Chiesa vuole perdonare, ma prima deve saper a chi”. I mandanti non sono ancora stati trovati. In questo senso, i guatemaltechi non hanno trovato ancora pienamente la via della riconciliazione che esige prima verità e giustizia. Mons. Gerardi è un paradigma del martirio di migliaia e migliaia di altri innocenti che caddero durante 36 anni di guerra civile.

 
D. - Ci sono oggi luci in Guatemala capaci di illuminare il vuoto lasciato da mons. Gerardi?

 
R. - Come accade con il messaggio cristiano, si tratta di un segno di contraddizione: la morte di mons. Gerardi è stato un passaggio lungo le terribili tenebre della storia di un popolo, ma al tempo stesso ha rappresentato l'avvicinarsi dell'alba, della luce. Ogni notte profonda e amara preannuncia l'aurora calda e chiara. Il grido di mons. Gerardi fu: "Mai più". Oggi, nonostante le contraddizioni della pacificazione guatemalteca dagli accordi pace del 1996, una sola cosa è chiara e irreversibile: "Mai più".

 
D. - Due giorni prima di essere ucciso, mons. Gerardi aveva pubblicato proprio il Rapporto “Guatemala mai più” sui crimini compiuti durante la guerra civile. Quale contributo hanno portato quelle denunce?

 
R. - Il Rapporto redatto da mons. Gerardi, il noto documento intitolato "Guatemala, mai più", ha squarciato la menzogna e l'omertà dimostrando che era possibile guardarsi in faccia e non fare più finta che "nulla fosse accaduto". Mons. Gerardi è morto per servire la verità, quella del cristiano, del sacerdote, del vescovo e del patriota. Questa fu la sua coerenza e quest'è la sua eredità spirituale per tutti.

 
D. - Anche oggi, in Guatemala, difendere i diritti umani può provocare gravi conseguenze. Mons. Ramazzini, vescovo di San Marcos, ha ricevuto nei giorni scorsi minacce di morte…

 
R. - Purtroppo in America Latina questa dinamica delle minacce contro i pastori della Chiesa è dura a morire. La Chiesa latinoamericana ha pagato altissimi prezzi: mons. Gerardi è uno di una lista in cui ci sono due vescovi colombiani, Isaías Duarte Cancino e Jesús Emilio Jaramillo, il cardinale messicano Posadas Ocampo, decine di sacerdoti e religiose e migliaia di catechisti. Ci auguriamo che nulla accada a mons. Alvaro Ramazzini. E' un dovere di tutti, anche della stampa, dare una mano per proteggerlo. Piangere dopo servirebbe a poco. Ad ogni modo, la Chiesa non si ferma e va avanti: il suo mandato missionario lo ha ricevuto da Cristo e non ha scadenza.







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