La memoria liturgica di San Marco, autore del più antico dei Vangeli, definito da
Benedetto XVI una "strada catecumenale" che riporta all'essenza del messaggio di Gesù
Il 25 aprile è per la Chiesa il giorno di festa dedicato all’evangelista Marco. Patrono
di Venezia - dove le sue spoglie riposano nell’omonima Basilica patriarcale, nella
quale stamattina il cardinale Patriarca emerito, Marco Cé, ha celebrato la Santa Messa
- San Marco fu l’uomo che annotò i discorsi fatti da San Pietro alle prime comunità
cristiane, consentendogli più tardi di comporle nel più antico dei Vangeli canonici.
In diverse occasioni, la figura dell’evangelista viene citata nel magistero di Benedetto
XVI. Alessandro De Carolis ne ricorda alcune in questo servizio:
(musica)
Sono
ben pochi gli scrittori, in tutte le epoche dell’umanità, ad aver composto un’opera
capace di attraversare il tempo della storia e lo spazio della terra, moltiplicando
copie, traduzioni, studi ad ogni latitudine, per venti secoli. E’ il destino capitato
a Giovanni Marco e al libro che finisce di comporre attorno all’anno 70 dopo la morte
di Cristo. Titolo: To Euaggelion, la Buona Notizia. Per le prime comunità di cristiani,
Giovanni Marco è “un’ombra” che segue un passo indietro le peregrinazioni di due grandi
apostoli: Paolo di Tarso, prima, Simon Pietro poi. Una sorta di segretario-copista-interprete,
che sa il greco e che si dedica in particolare a trasformare in parole scritte, un
po’ alla rinfusa, gli insegnamenti elargiti oralmente dal primo capo della Chiesa.
Quando Pietro muore, nell’anno 64, Giovanni Marco capisce che la preziosa mole di
materiale raccolta per anni senza un preciso criterio va ordinata. Si mette al lavoro
e in circa sei anni completa quello che sarà il più antico dei quattro Vangeli. (musica) Il
Vangelo di Marco si pone l’obiettivo di presentare ai nuovi credenti Gesù come il
“Messia” atteso. Un testo dal linguaggio semplice, adatto a chi non conosce Cristo
ma che, attraverso il racconto delle sue parole e delle sue vicende, può arrivare
a scoprirne la forza innovatrice del messaggio. Sul filo del Vangelo di Marco, il
cardinale patriarca emerito di Venezia, Marco Cé, predica gli esercizi spirituali
al Papa e alla Curia romana nella Quaresima del 2006. Al termine, l’11 marzo, Benedetto
XVI lo ringrazia con queste parole: “Ci ha fatto attenti
al Maestro interiore; ci ha aiutato ad ascoltare il Maestro che parla con noi e in
noi; ci ha aiutato a rispondere, a parlare con il Signore, ascoltando la sua Parola.
Lei ci ha guidati su questa strada ‘catecumenale’ che è il Vangelo di Marco, in un
pellegrinaggio comune insieme con i discepoli verso Gerusalemme, e ci ha dato di nuovo
la certezza che nella nostra barca - nonostante tutte le tempeste della storia - c'è
Cristo”. Di Marco parla anche un altro libro, gli Atti degli Apostoli.
Si tratta di un episodio che ritrae il futuro evangelista, ancora giovane, alle prese
con Paolo e Barnaba e i loro viaggi missionari. Un episodio che Benedetto XVI spiega
in questo modo all’udienza generale del 31 gennaio 2007: “I
due, Paolo e Barnaba, entrarono poi in contrasto, all'inizio del secondo viaggio missionario,
perché Barnaba era dell’idea di prendere come compagno Giovanni Marco, mentre Paolo
non voleva, essendosi il giovane separato da loro durante il viaggio precedente”.
Uno spaccato di umanità della prima Chiesa, che un istante
dopo suggerisce al Papa una riflessione spontanea e incisiva, che l’Aula Paolo VI
saluta con un lungo applauso: “Quindi anche tra santi ci
sono contrasti, discordie, controversie. E questo a me appare molto consolante, perché
vediamo che i santi non sono ‘caduti dal cielo’. Sono uomini come noi, con problemi
anche complicati. La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, peccato. La
santità cresce nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a ricominciare,
e soprattutto nella capacità di riconciliazione e di perdono”. Ed
è quello che succede in una situazione successiva: Paolo si riappacifica con Marco
riconoscendo pubblicamente in lui un suo fidato “collaboratore”. Anche Pietro lo chiamerà
affettuosamente “figlio mio” in una sua lettera. Negli anni, poi, il Marco evangelista
diventa egli stesso evangelizzatore. Un impegno, quello missionario, che San Marco
ha ben appreso alla sequela dei due massimi apostoli della Chiesa e che Benedetto
XVI riconosce appieno e sottolinea parlando al clero e ai religiosi, durante una tappa
del suo viaggio in Baviera del settembre 2006, i Vespri nella Basilica di Sant’Anna
ad Altötting: “Die kürzeste Beschreibung der priesterlichen
Sendung...La descrizione più concisa della missione sacerdotale (…) ci è
data dall’evangelista Marco che, nel racconto della chiamata dei Dodici dice: 'Ne
costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli'. Stare con Lui e, come
inviati, essere in cammino verso la gente - queste due cose vanno insieme e, insieme,
costituiscono l’essenza della vocazione spirituale, del sacerdozio. Stare con Lui
ed essere mandati - due cose inscindibili tra loro. Solo chi sta 'con Lui' impara
a conoscerlo e può annunciarlo veramente”. (musica)