L'Istituto Regina Elena di Roma, da sempre impegnato nella lotta contro il cancro,
ha celebrato i 75 anni dalla sua fondazione
L'Istituto Regina Elena di Roma ha celebrato, ieri, i 75 anni dalla sua fondazione.
Da sempre impegnata con successo nella lotta contro il cancro, questa struttura ha
agito in prima linea, portando il proprio contributo alla ricerca scientifica con
nuove acquisizioni chirurgiche e farmacologiche. Ma oggi come si può definire l'Istituto
Regina Elena? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al prof. Giuseppe Petrella,
presidente del Consiglio d’Indirizzo e verifica degli Istituti fisioterapici ospitalieri,
ente che gestisce l’Istituto nazionale Regina Elena e l’Istituto dermatologico San
Gallicano:
R. –
Quello che io rappresento in questo momento è un grande istituto di ricovero e cura
a carattere scientifico, in quanto ogni giorno, ieri come oggi - sono trascorsi ben
75 anni - persegue l’eccellenza; l’eccellenza nella ricerca, l’eccellenza nell’assistenza
e nell’organizzazione. Tutto questo mettendo al centro della nostra attenzione la
persona ammalata di cancro. Ogni giorno sono circa 1000 le persone occupate nella
nostra istituzione tra medici, infermieri, tecnici, amministrativi e anche tanti e
tanti volontari; e tutti siamo al servizio dei pazienti e dei loro familiari.
D.
– Per il futuro cosa vi attendete, cosa sperate per la vostra struttura?
R.
– Come per qualsiasi struttura che si interessi di cancro, nel futuro ci aspettiamo
che non ci sia più il cancro e noi tutti quanti lavoreremo per raggiungere questo
obiettivo. Nella fase attuale, molti sono i punti strategici da sviluppare: partirà
tra poco la rete oncologica regionale, realizzata in collaborazione con la regione
Lazio, con l’Agenzia di Sanità pubblica della Regione, con l’Istituto Superiore di
Sanità e con il Ministero della Salute. Un punto essenziale per realizzare un piano
di sinergie che siano clinico-assistenziali, di formazione e di ricerca. E l’Istituto
Regina Elena è il centro di riferimento di questa grande organizzazione che sarà la
rete oncologica regionale.
D. – Lei ha messo in primo
piano il rispetto e la centralità del paziente. E’ difficile sviluppare questo concetto
nel concreto?
R. – Negli ultimi anni, purtroppo,
c’era stata una frattura tra l’oncologo ed il paziente perché il paziente, alcune
volte, proprio in un ambito di distorsione psicologica, veniva indicato con un numero;
invece il paziente ha un nome, un cognome, tutta la sua storia alle spalle. Pensiamo
che l’umanizzazione sia la cosa più importante tanto più per un paziente che è affetto
da un male che oggi è curabilissimo. Ci tengo a sottolineare questo anche se il paziente
ha un percorso difficile da affrontare: quello di conoscere la diagnosi, di decidere
le terapie, la chirurgia, la radioterapie, la chemioterapia. E questa persona, questo
essere umano, deve essere accompagnato, come dico io, per mano in questo percorso
per farlo uscire dal tunnel, per rivedere il sole che sembra la cosa più bella.