Risposte del Papa alle domande dei Vescovi dopo l'incontro
1. Viene chiesto al Santo Padre di esprimere la propria valutazione sulla sfida
del secolarismo in aumento nella vita pubblica e sul relativismo nella vita intellettuale,
come pure i Suoi suggerimenti su come affrontare tali sfide dal punto di vista pastorale,
per poter compiere l’opera di evangelizzazione più efficacemente.
Ho
affrontato brevemente questo tema nel mio discorso. Ritengo significativo il fatto
che qui in America, a differenza di molti luoghi in Europa, la mentalità secolare
non si è posta come intrinsecamente opposta alla religione. All’interno del contesto
della separazione fra Chiesa e Stato, la società americana è sempre stata segnata
da un fondamentale rispetto della religione e del suo ruolo pubblico e, se si vuol
dar credito ai sondaggi, il popolo americano è profondamente religioso. Ma non è sufficiente
contare su questa religiosità tradizionale e comportarsi come se tutto fosse normale,
mentre i suoi fondamenti vengono lentamente erosi. Un impegno serio nel campo dell’evangelizzazione
non può prescindere da una diagnosi profonda delle sfide reali che il Vangelo ha di
fronte nella cultura contemporanea americana.
Naturalmente, ciò che
è essenziale è una corretta comprensione della giusta autonomia dell’ordine secolare,
un’autonomia che non può essere disgiunta da Dio Creatore e dal suo piano di salvezza
(cfr Gaudium et spes, 36). Forse il tipo di secolarismo dell’America pone un problema
particolare: mentre permette di credere in Dio e rispetta il ruolo pubblico della
religione e delle Chiese, sottilmente tuttavia riduce la credenza religiosa al minimo
comune denominatore. La fede diviene accettazione passiva che certe cose “là fuori”
sono vere, ma senza rilevanza pratica per la vita quotidiana. Il risultato è una crescente
separazione della fede dalla vita: il vivere “come se Dio non esistesse”. Ciò è aggravato
da un approccio individualistico ed eclettico alla fede e alla religione: lungi dall’approccio
cattolico del “pensare con la Chiesa”, ogni persona crede di avere un diritto di individuare
e scegliere, mantenendo i vincoli sociali ma senza una conversione integrale, interiore
alla legge di Cristo. Di conseguenza, piuttosto che essere trasformati e rinnovati
nell’animo, i cristiani sono facilmente tentati di conformarsi allo spirito del secolo
(cfr Rm 12,3). L’abbiamo constatato in maniera acuta nello scandalo dato da cattolici
che promuovono un presunto diritto all’aborto.
Ad un livello più profondo,
il secolarismo sfida la Chiesa a riaffermare e a perseguire ancor più attivamente
la sua missione nel e al mondo. Come è stato reso chiaro dal Concilio, i laici a questo
riguardo hanno una responsabilità particolare. Sono convinto che ciò di cui vi è bisogno
sia un maggior senso del rapporto intrinseco fra il Vangelo e la legge naturale da
una parte, e il perseguimento dall’altra dell’autentico bene umano, come viene incarnato
nella legge civile e nelle decisioni morali personali. In una società che giustamente
tiene in alta considerazione la libertà personale, la Chiesa deve promuovere ad ogni
livello i suoi insegnamenti – nella catechesi, nella predicazione, nell’istruzione
seminaristica ed universitaria – un’apologetica tesa ad affermare la verità della
rivelazione cristiana, l’armonia tra fede e ragione, ed una sana comprensione della
libertà, vista in termini positivi come liberazione sia dalle limitazioni del peccato
che per una vita autentica e piena. In una parola, il Vangelo dev’esser predicato
ed insegnato come un modo di vita integrale, che offre una risposta attraente e veritiera,
intellettualmente e praticamente, ai problemi umani reali. La “dittatura del relativismo”,
alla fin fine, non è nient’altro che una minaccia alla libertà umana, la quale matura
soltanto nella generosità e nella fedeltà alla verità.
Si potrebbe
dire molto di più, naturalmente, su questo argomento: lasciatemi concludere, tuttavia,
dicendo che io credo che la Chiesa in America, in questo preciso momento della sua
storia, ha di fronte a sé la sfida di ritrovare la visione cattolica della realtà
e di presentarla in maniera coinvolgente e con fantasia ad una società che fornisce
ogni genere di ricette per l’auto realizzazione umana. Penso in particolare al nostro
bisogno di parlare al cuore dei giovani, i quali, nonostante la costante esposizione
a messaggi contrari al Vangelo, continuano ad aver sete di autenticità, di bontà,
di verità. Molto resta ancora da fare a livello della predicazione e della catechesi
nelle parrocchie e nelle scuole, se si vuole che l’evangelizzazione rechi frutto per
il rinnovamento della vita ecclesiale in America.
2. Il
Santo Padre viene interrogato riguardo ad “un certo silenzioso processo” mediante
il quale i cattolici abbandonano la pratica della fede, talvolta mediante una decisione
esplicita, ma più spesso quietamente e gradualmente allontanandosi dalla partecipazione
alla Messa e dall’identificazione con la Chiesa.
Certamente molto
di tutto ciò dipende dal progressivo ridursi di una cultura religiosa, talvolta paragonata
in modo dispregiativo ad un “ghetto”, che potrebbe rafforzare la partecipazione e
l’identificazione con la Chiesa. Come ho appena detto, una delle grandi sfide che
stanno di fronte alla Chiesa in questo Paese è quella di coltivare un’identità cattolica
basata non tanto su elementi esterni, quanto piuttosto su un modo di pensare e di
agire radicato nel Vangelo ed arricchito in base alla tradizione vivente della Chiesa.
Il
tema coinvolge chiaramente fattori come l’individualismo religioso e lo scandalo.
Ma andiamo al cuore della questione: la fede non può sopravvivere se non è nutrita,
se non “opera per mezzo della carità” (Gal 5,6). La gente ha oggi difficoltà ad incontrare
Dio nelle nostre chiese? La nostra predicazione ha forse perso il proprio sale? Non
potrebbe ciò essere dovuto al fatto che molti hanno dimenticato, o addirittura mai
imparato, come pregare nella e con la Chiesa?
Non parlo qui di persone
che lasciano la Chiesa alla ricerca di “esperienze” religiose soggettive; questo è
un tema pastorale da affrontare nei termini propri. Penso che stiamo parlando di persone
che sono cadute fuori strada senza aver coscientemente rigettato la fede in Cristo,
ma che, per una qualche ragione, non hanno ricevuto forza vitale dalla liturgia, dai
Sacramenti, dalla predicazione. Eppure la fede cristiana, come sappiamo, è essenzialmente
ecclesiale, e senza un vincolo vivo con la comunità, la fede dell’individuo non crescerà
mai sino a maturità. Per tornare alla questione appena discussa: il risultato può
essere un’apostasia silenziosa.
Lasciatemi perciò fare due brevi osservazioni
sul problema del “processo di abbandono”, che spero stimoleranno ulteriori riflessioni.
Per
prima cosa, come sapete, diviene sempre più difficile nelle società occidentali parlare
in maniera sensata di “salvezza”. Eppure la salvezza – la liberazione dalla realtà
del male e il dono di una vita nuova e libera in Cristo – è al cuore stesso del Vangelo.
Dobbiamo riscoprire, come ho già detto, modi nuovi e avvincenti per proclamare questo
messaggio e risvegliare una sete di quella pienezza che soltanto Cristo può dare.
È nella liturgia della Chiesa, e soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, che queste
realtà vengono manifestate nel modo più potente e vengono vissute nell’esistenza dei
credenti; forse abbiamo ancora molto da fare per realizzare la visione del Concilio
circa la liturgia, come esercizio del sacerdozio comune e come slancio per un fruttuoso
apostolato nel mondo.
In secondo luogo, dobbiamo riconoscere con preoccupazione
la quasi completa eclissi di un senso escatologico in molte delle nostre società tradizionalmente
cristiane. Come sapete, ho sollevato tale problema nell’enciclica Spe salvi. Basti
dire che fede e speranza non sono limitate a questo mondo: come virtù teologali esse
ci uniscono al Signore e ci portano verso il compimento non soltanto del nostro destino
ma anche di quello di tutta la creazione. La fede e la speranza sono l’ispirazione
e la base dei nostri sforzi per prepararci alla venuta del Regno di Dio. Nel cristianesimo
non vi può essere posto per una religione puramente privata: Cristo è il Salvatore
del mondo e, quali membra del suo Corpo e partecipi dei suoi munera profetico, sacerdotale
e regale, non possiamo separare il nostro amore per Lui dall’impegno dell’edificazione
della Chiesa e dell’ampliamento del Regno. Nella misura in cui la religione diventa
un affare puramente privato, essa perde la sua stessa anima.
Lasciatemi
concludere, affermando l’ovvio. I campi sono a tutt’oggi pronti per la mietitura (cfr
Gv 4,35); Dio continua a far crescere la messe (cfr 1 Cor 3,6). Possiamo e dobbiamo
credere, insieme col defunto Papa Giovanni Paolo II, che Dio sta preparando una nuova
primavera per la cristianità (cfr Redemptoris missio, 86). Ciò di cui c’è maggior
bisogno, in questo specifico tempo della storia della Chiesa in America, è il rinnovamento
di quello zelo apostolico che ispiri i suoi pastori in maniera attiva a cercare gli
smarriti, a fasciare quanti sono stati feriti e a rafforzare i deboli (cfr Ez 34,16).
E ciò, come ho detto, esige nuovi modi di pensare basati su una sana diagnosi delle
sfide odierne ed un impegno per l’unità nel servizio alla missione della Chiesa verso
le generazioni presenti.
3. Viene chiesto al Santo Padre
di esprimere una sua valutazione sul declino delle vocazioni, nonostante il numero
crescente della popolazione cattolica, e sulle ragioni della speranza offerte dalle
qualità personali e dalla sete di santità che caratterizzano i candidati che decidono
di proseguire.
Siamo sinceri: la capacità di coltivare le vocazioni
al sacerdozio e alla vita religiosa è un segno sicuro della salute di una Chiesa locale.
Non c’è spazio per alcun compiacimento a questo riguardo. Dio continua a chiamare
i giovani, ma spetta a noi incoraggiare una risposta generosa e libera a quella chiamata.
D’altra parte, nessuno di noi può prendere tale grazia come scontata.
Nel
Vangelo, Gesù ci dice di pregare perché il Signore della messe mandi operai; egli
ammette pure che gli operai sono pochi al confronto dell’abbondanza della messe (cfr
Mt 9,37-38). Sembrerà strano, ma io spesso penso che la preghiera – l’unum necessarium
– è l’unico aspetto delle vocazioni che sia efficace e noi tendiamo spesso a dimenticarlo
o a sottovalutarlo!
Non parlo soltanto di preghiera per le vocazioni.
La preghiera stessa, nata nelle famiglie cattoliche, nutrita da programmi di formazione
cristiana, rafforzata dalla grazia dei Sacramenti, è il mezzo principale mediante
il quale veniamo a conoscere la volontà di Dio per la nostra vita. Nella misura in
cui insegniamo ai giovani a pregare, e a pregare bene, noi cooperiamo alla chiamata
di Dio. I programmi, i piani e i progetti hanno il loro posto, ma il discernimento
di una vocazione è anzitutto il frutto di dialogo intimo fra il Signore e i suoi discepoli.
I giovani, se sanno pregare, possono essere fiduciosi di sapere che cosa fare della
chiamata di Dio.
È stato notato che vi è una sete crescente di santità
in molti giovani oggi e che, anche se in numero sempre minore, quanti vanno avanti
dimostrano un grande idealismo e offrono molte promesse. È importante ascoltarli,
comprendere le loro esperienze ed incoraggiarli ad aiutare i coetanei a vedere il
bisogno di sacerdoti e religiosi impegnati, come pure a vedere la bellezza di una
vita di sacrificio e di servizio al Signore e alla sua Chiesa. A mio giudizio, molto
è richiesto ai direttori e formatori delle vocazioni: ai candidati, oggi più che mai,
bisogna offrire una sana formazione intellettuale e umana che li ponga in grado non
soltanto di rispondere alle domande reali e ai bisogni dei contemporanei, ma anche
di maturare nella loro conversione e di perseverare nella vocazione attraverso un
impegno che duri per la vita intera. Quali Vescovi, siete coscienti del sacrificio
che viene richiesto quando vi domandano di sollevare dagli impegni uno dei vostri
preti migliori per lavorare in seminario. Vi esorto a rispondere con generosità per
il bene della Chiesa intera.
Da ultimo, penso che sappiate per esperienza
che molti dei vostri fratelli sacerdoti sono felici nella loro vocazione. Ciò che
dissi nel mio discorso sull’importanza dell’unità e della collaborazione con il presbiterio
si applica anche in questo campo. Vi è la necessità per tutti noi di lasciare le sterili
divisioni, i disaccordi e i preconcetti e di ascoltare insieme la voce dello Spirito
che guida la Chiesa verso un futuro di speranza. Ciascuno di noi sa quanto importante
è stata la fraternità sacerdotale nella propria vita; essa non è soltanto un possesso
prezioso, ma anche una risorsa immensa per il rinnovamento del sacerdozio e la crescita
di nuove vocazioni. Desidero concludere incoraggiandovi a creare opportunità di un
dialogo ancora maggiore e di incontri fraterni fra i vostri sacerdoti, specialmente
quelli giovani. Sono convinto che ciò porterà frutto per il loro arricchimento, per
l’aumento del loro amore al sacerdozio e alla Chiesa, come pure per l’efficacia del
loro apostolato.
Con queste poche osservazioni, vi incoraggio ancora
una volta nel vostro ministero nei confronti dei fedeli affidati alle vostre premure
pastorali e vi affido all’amorevole intercessione di Maria Immacolata, Madre della
Chiesa.