Il cardinale Martino: drammatico aumento della spesa militare nel mondo a danno dei
più poveri
Al termine del seminario internazionale promosso a Palazzo San Calisto dal Pontificio
Consiglio Giustizia e Pace Giovanni Peduto ha intervistato il presidente del
dicastero, il cardinale Renato Raffaele Martino, chiedendogli anzitutto quale
messaggio abbia voluto lanciare questo Convegno:
R. –
Prima di tutto, mettere al centro della nostra riflessione sulla pace la problematica
del disarmo e quindi alimentare l’impegno e l’attenzione della Chiesa e dei cristiani
alla complessa problematica del disarmo. E poi rilanciare, all’interno della comunità
internazionale, i processi istituzionali connessi al disarmo. Purtroppo, viviamo una
stagione in cui si ha l’impressione che il disarmo non riceva quell’attenzione che
merita. Io penso anche che c’è stata una pausa in questo, perché con la minaccia del
terrorismo l’opinione pubblica si è convinta che allora è bene armarsi per difendere
la società dal terrorismo. Ma, c’è di più! Dall’altra parte, il Pontificio Consiglio
ha inteso dimostrare come il disarmo sia strettamente collegato con l’altro tema dello
sviluppo. Ora, al giorno d’oggi, noi siamo attoniti spettatori di un paradosso. Aumenta
la spesa per la produzione delle armi e, nello stesso tempo, cresce la povertà relativa
nel mondo. Crescono le differenze, vengono mortificati i poveri a cui viene negato
un futuro.
D. – Il Papa, nel Messaggio per la Giornata
Mondiale della Pace 2006, registrava “con rammarico i dati di un aumento preoccupante
delle spese militari e del sempre prospero commercio delle armi” affermando che il
processo del disarmo “ristagna nella palude di una quasi generale indifferenza”. Qual
è la situazione oggi?
R. – Preoccupante, molto preoccupante.
Come il Papa afferma, la spesa militare aumenta tragicamente; dall’altra parte, siamo
di fronte ad una certa apatia della comunità internazionale verso la questione del
disarmo. Penso con preoccupazione a quello che si dovrebbe fare sul fronte delle armi
chimiche, batteriologiche, nucleari, ma anche quelle convenzionali e le “piccole armi”.
Ed è proprio con le “piccole armi” che avvengono i delitti “giornalieri”. Come ci
chiedeva il Santo Padre Benedetto XVI, c’è bisogno di un sussulto della comunità internazionale
per ritrovare quel consenso necessario e quella convinta disponibilità per la “governance”
del problema delle armi.
D. – Cosa si può fare per
fermare la corsa alle armi?
R. – Secondo me, si devono
fare tre cose: diffondere le necessarie conoscenze circa gli armamenti, come presupposto
di un’autentica educazione alla pace delle persone, e poi promuovere un impegno ecumenico
e internazionale delle religioni sul fronte del disarmo; e, terzo, fare proposte concrete
che siano realistiche e percorribili per ridurre la produzione delle armi. Si deve
soprattutto agire ed operare affinché il disarmo venga collocato nel contesto di un
rilancio di virtuosi processi di sviluppo umano, soprattutto dei Paesi poveri.
D.
– Un cristiano può lavorare nell’industria delle armi?
R.
– Come noi sappiamo, uno Stato può disporre di armi per la propria difesa, ma il cristiano
che lavora non saprà mai quelle armi per quale fine sono fatte, se sono fatte per
difendere o offendere: si tratta di una questione delicata che va affrontata al di
fuori di certe ideologie che impediscono di cogliere la complessità della situazione,
che va collocata nella prospettiva morale propria della dottrina sociale della Chiesa
sul disarmo. A questo proposito, c’è il numero 508 del Compendio che dice: “La Dottrina
sociale della Chiesa propone la mèta di un disarmo generale equilibrato e controllato”.
L’enorme aumento delle armi rappresenta una minaccia grave per la stabilità e la pace.
Il principio di sufficienza in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente
i mezzi necessari alla sua legittima difesa, deve essere applicato sia dagli Stati
che comprano armi sia da quelli che le producono e le forniscono. Qualsiasi accumulo
eccessivo di armi, o il loro commercio generalizzato, non possono essere giustificati
moralmente. Tali fenomeni vanno valutati anche alla luce della normativa internazionale
in materia di non proliferazione, produzione, commercio e uso dei differenti tipi
di armamenti. Le armi non devono mai essere considerate alla stregua di altri beni
scambiati a livello mondiale o sui mercati interni.