2008-04-12 13:37:27

Il cardinale Martino: drammatico aumento della spesa militare nel mondo a danno dei più poveri


Al termine del seminario internazionale promosso a Palazzo San Calisto dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace Giovanni Peduto ha intervistato il presidente del dicastero, il cardinale Renato Raffaele Martino, chiedendogli anzitutto quale messaggio abbia voluto lanciare questo Convegno:RealAudioMP3


R. – Prima di tutto, mettere al centro della nostra riflessione sulla pace la problematica del disarmo e quindi alimentare l’impegno e l’attenzione della Chiesa e dei cristiani alla complessa problematica del disarmo. E poi rilanciare, all’interno della comunità internazionale, i processi istituzionali connessi al disarmo. Purtroppo, viviamo una stagione in cui si ha l’impressione che il disarmo non riceva quell’attenzione che merita. Io penso anche che c’è stata una pausa in questo, perché con la minaccia del terrorismo l’opinione pubblica si è convinta che allora è bene armarsi per difendere la società dal terrorismo. Ma, c’è di più! Dall’altra parte, il Pontificio Consiglio ha inteso dimostrare come il disarmo sia strettamente collegato con l’altro tema dello sviluppo. Ora, al giorno d’oggi, noi siamo attoniti spettatori di un paradosso. Aumenta la spesa per la produzione delle armi e, nello stesso tempo, cresce la povertà relativa nel mondo. Crescono le differenze, vengono mortificati i poveri a cui viene negato un futuro.

 
D. – Il Papa, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2006, registrava “con rammarico i dati di un aumento preoccupante delle spese militari e del sempre prospero commercio delle armi” affermando che il processo del disarmo “ristagna nella palude di una quasi generale indifferenza”. Qual è la situazione oggi?

 
R. – Preoccupante, molto preoccupante. Come il Papa afferma, la spesa militare aumenta tragicamente; dall’altra parte, siamo di fronte ad una certa apatia della comunità internazionale verso la questione del disarmo. Penso con preoccupazione a quello che si dovrebbe fare sul fronte delle armi chimiche, batteriologiche, nucleari, ma anche quelle convenzionali e le “piccole armi”. Ed è proprio con le “piccole armi” che avvengono i delitti “giornalieri”. Come ci chiedeva il Santo Padre Benedetto XVI, c’è bisogno di un sussulto della comunità internazionale per ritrovare quel consenso necessario e quella convinta disponibilità per la “governance” del problema delle armi.

 
D. – Cosa si può fare per fermare la corsa alle armi?

 
R. – Secondo me, si devono fare tre cose: diffondere le necessarie conoscenze circa gli armamenti, come presupposto di un’autentica educazione alla pace delle persone, e poi promuovere un impegno ecumenico e internazionale delle religioni sul fronte del disarmo; e, terzo, fare proposte concrete che siano realistiche e percorribili per ridurre la produzione delle armi. Si deve soprattutto agire ed operare affinché il disarmo venga collocato nel contesto di un rilancio di virtuosi processi di sviluppo umano, soprattutto dei Paesi poveri.

 
D. – Un cristiano può lavorare nell’industria delle armi?

 
R. – Come noi sappiamo, uno Stato può disporre di armi per la propria difesa, ma il cristiano che lavora non saprà mai quelle armi per quale fine sono fatte, se sono fatte per difendere o offendere: si tratta di una questione delicata che va affrontata al di fuori di certe ideologie che impediscono di cogliere la complessità della situazione, che va collocata nella prospettiva morale propria della dottrina sociale della Chiesa sul disarmo. A questo proposito, c’è il numero 508 del Compendio che dice: “La Dottrina sociale della Chiesa propone la mèta di un disarmo generale equilibrato e controllato”. L’enorme aumento delle armi rappresenta una minaccia grave per la stabilità e la pace. Il principio di sufficienza in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente i mezzi necessari alla sua legittima difesa, deve essere applicato sia dagli Stati che comprano armi sia da quelli che le producono e le forniscono. Qualsiasi accumulo eccessivo di armi, o il loro commercio generalizzato, non possono essere giustificati moralmente. Tali fenomeni vanno valutati anche alla luce della normativa internazionale in materia di non proliferazione, produzione, commercio e uso dei differenti tipi di armamenti. Le armi non devono mai essere considerate alla stregua di altri beni scambiati a livello mondiale o sui mercati interni.







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