La comunità cristiana irachena continua a testimoniare il messaggio evangelico della
pace
“Affrontare la morte ogni giorno altro non fa che unire di più la comunità irachena
cristiana - in patria ed all’estero - ed è triste ammettere che è la morte il collante
dei cristiani iracheni”. Cosi commenta padre Douglas Dawood Al Bazi, sacerdote cattolico
caldeo di Baghdad, l’assassinio del prete siro-ortodosso Adel Youssef in una nota
all’Ufficio pastorale migranti dell’arcidiocesi di Torino, diffusa da Baghdadhope.
Si chiede padre Douglas: “Perché è stato ucciso? Non aveva fatto nulla più di ciò
che i martiri che lo hanno preceduto fecero: portare quella pace e giustizia che in
questi 5 anni non sono state, e non sono, apprezzate da alcune parti politiche e religiose”.
“Si deve sapere - prosegue padre Douglas - che la comunità cristiana in Iraq vede
nella Chiesa l’unico punto di aggregazione e nella figura del sacerdote il cuore della
comunità. Colpire questo simbolo vuol dire spingere la gente a fuggire ma i sacerdoti
rimarranno tra coloro che non possono lasciare le proprie case”. “E’ strano - conclude
padre Douglas che subì nel 2006 un rapimento di 9 giorni - vedere che oggi in Iraq
formazioni di miliziani, almeno 25 operanti nel Paese, sfilano avendo in una mano
un ramo di olivo, e nell’altra un’arma, mentre i cristiani lo fanno, portando sì un
ramo di olivo in una mano, ma una candela nell’altra, simboli della cristianità irachena”.
(R.G.)