Giornata mondiale di sensibilizzazione all'autismo
Oggi si celebra la prima “Giornata mondiale di sensibilizzazione all’autismo”, adottata
dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 2006. Si tratta di una malattia che colpisce
tre bambini su mille. Ma cosa è l’autismo? Eliana Astorri lo ha chiesto al
prof. Giovanni Neri, direttore dell’Istituto di genetica medica al Policlinico
Gemelli di Roma:
R. –
L’autismo è una condizione molto complessa e molto variegata sul piano clinico nella
sua forma pura e lo possiamo considerare il prototipo dei disturbi pervasivi dello
sviluppo. Sul piano clinico si caratterizza per la presenza di una triade di manifestazioni
che sono: una comunicazione verbale limitata o assente; una mancanza di interazione
sociale e che Leo Kanner, che nel 1943 ha coniato il termine autismo, avrebbe detto
“anaffettività"; e, infine, un comportamento caratterizzato da interessi ristretti,
ripetitività, ritualità, stereotipie. In una percentuale abbastanza elevata di casi,
circa i tre quarti, c’è anche un vero e proprio ritardo cognitivo, anche se questo
non è un sintomo obbligatorio.
D. – Lei ha parlato
di queste caratteristiche riconoscibili da un medico. Un genitore come si rende conto
che un bambino ha questo tipo di problemi?
R. – Se
ne rende conto soprattutto perchè non comunica. Nelle forme classiche lo sviluppo
appare normale ai genitori per i primi due anni. Dopo comincia una sorta di regressione:
il bambino perde le acquisizioni che aveva fatto – soprattutto a livello di linguaggio
– e mostra questo disinteresse verso chi gli sta attorno e all’ambiente che lo circonda.
D. – Quindi la diagnosi si effettua attraverso il
riconoscimento di queste caratteristiche: ma ci sono anche degli esami o delle analisi?
R.
– No, analisi di laboratorio purtroppo non ce ne sono ancora. La diagnosi continua,
quindi, ad essere una diagnosi clinica.
D. – In
che mondo vive un bambino autistico? Capisce ciò che succede intorno a lui? Lei prima
parlava di anaffettività…
R. – Questo è un enorme
punto interrogativo, quello cioè di poter essere nella mente di questi bambini. Credo
che rappresenti un pochino il dramma quotidiano dei genitori: cercare di capire cioè
cosa c’è nella mente di questi bambini che si aggirano intorno a loro e con i quali
si fa così fatica a comunicare.
D. – Questo impegno
ovviamente perdura per tutta la vita?
R. – E’ certamente
un impegno a lungo termine, anche se è chiaro che il grosso del lavoro va fatto nel
periodo dello sviluppo e quindi nel periodo infantile ed adolescenziale. E’ lì che
si gioca un pochino la partita.