Convegno a Roma sul rapporto tra etica e genetica: intervista con Bruno Dallapiccola
Coniugare etica e sviluppo scientifico, rispetto della vita e genetica, attingendo
all’esperienza già sviluppata in campo diagnostico e terapeutico contro patologie
che senza un approccio di natura genetica, non sarebbero efficacemente curabili. E’
una delle priorità che saranno analizzate durante il convegno “Prospettive in genetica,
Speranza e scienza” in programma domani a Roma all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù.
Al convegno parteciperà anche il genetista Bruno Dallapiccola che sottolinea,
al microfono di Amedeo Lomonaco, i rischi legati alla pratica sempre più diffusa
dei test genetici:
R. –
Le prospettive che abbiamo per i prossimi quattro-cinque anni è quella di pensare
che andremo sempre più da una medicina molecolare e diagnostica per le malattie semplici
alla ricerca delle suscettibilità o delle predisposizioni genetiche che sono presenti
all’interno di tutti noi. Tanto per intenderci, ognuno di noi possiede un genoma imperfetto
e quindi ognuno di noi è potenzialmente a rischio di avere delle alterazioni a livello
genetico che lo possano predisporre a malattie comuni, poi, nella vita adulta o a
malattie neurodegenerative, malattie metaboliche e quant’altro. Ora, la divulgazione
di questo tipo di informazione può avere delle connotazioni estremamente negative,
ad esempio mettere le persone in uno stato di ansia o creare addirittura malati immaginari.
D.
– Cosa accade oggi se non si coniuga l’etica con lo sviluppo scientifico?
R.
– Dei disastri! Tutto quello che può produrre la genetica viene spesso non guidato
e accompagnato in maniera corretta. Un esempio: cosa rappresenta la diagnosi pre-impianto?
Rappresenta un qualche cosa che, a livello dei dati europei raccolti per sei anni
in 45 centri, ha documentato che su 20 mila embrioni che sono stati sottoposti a queste
analisi, sono nati 521 bambini, cioè un successo – dico “successo” tra virgolette
– della tecnica del 2,6 per cento, con un rischio di patologie indotte da alterata
regolazione dei geni, che capita spesso in vitro; come errori diagnostici che sono
anche nell’ordine del 15 per cento nei casi della diagnosi di patologie cromosomiche.
Quindi, uno scenario ben diverso da quell’ottimismo che spesso la stampa riporta sui
giornali e che induce le donne a vedere come un grande successo della tecnica questo
tipo di diagnostica, senza sottolineare correttamente loro, invece, quelli che sono
gli effetti negativi.
D. – Dove, invece, possono
condurre in medicina fede e ragione, seguendo un itinerario che affianchi la speranza
alla scienza?
R. – Io penso che se chi gestisce la
scienza la gestisce nella maniera corretta e senza voler fare voli pindarici, penso
che la scienza sia uno strumento fondamentale che può permettere di cambiare fortemente
la storia e la qualità della vita delle persone. Il punto è che purtroppo ci si innamora
di questo entusiasmo scientifico senza valutarlo criticamente. Quindi, il vero problema
– secondo me – della scienza è quello di non avere assolutamente paura della scienza,
ma interpretarla in maniera corretta e utilizzarla in maniera corretta.
D.
– Non solo da un punto di vista cristiano ma soprattutto etico: quali sono, secondo
lei, i fondamenti irrinunciabili per una ricerca rispettosa dell’uomo e della vita?
Ci sono dei punti assolutamente invalicabili?
R.
– Io direi che il punto fondamentale è il seguente: il ricercatore deve essere sostanzialmente
libero, ma quando l’oggetto della ricerca è l’uomo e la ricerca va a distruggere l’uomo
o va a compromettere l’uomo, la ricerca va regolamentata. Quindi, non si può fare
tutto quello che la ricerca consentirebbe oggi in teoria di fare.