"Versato per voi e per tutti": è il tema della Giornata di preghiera e digiuno, celebrata
ieri, per i missionari martiri: 21 i sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi
uccisi nel 2007
Si è celebrata ieri la XVI Giornata di preghiera e digiuno per i missionari uccisi.
L’iniziativa, promossa dal Movimento giovanile missionario delle Pontificie opere
missionarie, intende ricordare la testimonianza di unità e di amore resa dai missionari
che, con il loro esempio, incitano ogni cristiano a vivere radicalmente il Vangelo.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
“Versato
per voi e per tutti”: è il tema della Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei
missionari martiri. Sono parole, dense di senso, che accompagnano la consegna del
calice durante l’ultima Cena. E’ un invito a riflettere sull’offerta di Gesù del proprio
sangue per la salvezza dell’umanità. Anche molti religiosi hanno conosciuto il calvario
e la croce. Chi sono i martiri e a quale compito sono chiamati i missionari? Risponde
padre Marco Pifferi, del PIME, superiore regionale e vicario
episcopale per la pastorale, da 20 anni in Guinea Bissau:
R.
– Il martire è il testimone per eccellenza in quanto fa della sua vita un dono agli
altri. Allora, questo “versato per voi e per tutti”, per me ha proprio questo duplice
significato. Innanzitutto, “versato per voi”: per voi che io ho scelto e quindi questa
vita diventa dono per gli altri. In tutti i Paesi dove ci troviamo, le sfide che ci
vengono proposte sono quelle di questa testimonianza, soprattutto di comunione, di
dialogo, di stima dell’altro. Il sangue è “versato per tutti”: questa testimonianza
diventa davvero fonte di comunione in un mondo dove sembra che ci si chiuda sempre
di più all’altro; in quanto “altro”, in quanto “fratello”, noi siamo chiamati a questa
testimonianza grande di unità e comunione. La Giornata di preghiera
e digiuno per i missionari uccisi si celebra nell’anniversario dell’assassinio dell’arcivescovo
di San Salvador Oscar Arnulfo Romero. Gianni Novelli, direttore
del Centro interconfessionale per la pace ricorda le ultime parole del presule:
R.
– Oscar Romero alzò la voce, dando l’ordine: “Vi supplico, vi prego, in nome di Dio,
cessi la repressione. Nessun militare è obbligato ad obbedire a questi ordini che
ha ricevuto”. La sera del 24 marzo, mentre stava celebrando la Messa nella piccola
cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, dove si era rifugiato, tra minacce
di morte e pericoli, all’offertorio, dal fondo della chiesa, con un unico sparo, un
militare lo uccise. Le sue ultime parole, mentre teneva alzato il calice del pane
e del vino: “Possa questa nostra effusione di sangue essere fermento di pace e di
giustizia per questo nostro popolo”. Aveva detto: “Possono pure uccidermi, ma non
possono far tacere la voce del vescovo della Chiesa e se mi uccidono io risorgerò
con il mio popolo che cammina nelle vie della liberazione”.
Nel
corso del 2007 sono stati uccisi 21 tra sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi.
A questo elenco bisogna aggiungere i martiri del 2008: l’ultimo è l’arcivescovo caldeo
di Mossul, mons. Faraj Rahho. Sulla ricchezza dei suoi insegnamenti, ascoltiamo il
nunzio apostolico in Iraq, mons. Francis Assisi Chullikat:
R.
– La tragica morte di mons. Rahho è stato un momento difficilissimo per la Chiesa
irachena e il popolo cristiano. Lo hanno visto come un pastore che non ha esitato
ad immolare la propria vita per salvare il suo gregge. Mons. Rahho è stato quindi
un pastore dedito e coraggioso che ha insegnato ai suoi fedeli il significato di essere
cristiani. Per lui essere cristiano significava essere fedeli discepoli, pronti a
seguirlo fino al Calvario e, se necessario, fino alla morte sul Calvario. E’ molto
significativo notare che mons. Rahho veniva sequestrato al termine della celebrazione
della Via Crucis, una Via Crucis che ha saputo interpretare e vivere in carne propria
fino ad immedesimarsi in Gesù, dando la propria vita per il suo popolo.
In
Iraq l’area di Mossul, dove nel 2007 sono stati uccisi padre Ragheed Ganni, tre suoi
subdiaconi e recentemente mons. Rahho, è terra di martirio dove ogni cristiano offre
una forte testimonianza di fede. Padre Amer Najman Youkhanna,
sacerdote iracheno dell’arcidiocesi di Mossul: R.
– Le testimonianze di fede in Iraq sono sempre più forti, e questo è il frutto del
sangue dei martiri che annaffia questa pianta della fede con una lunga vita. Continua
questa testimonianza nonostante la difficoltà, il dolore: non sono solo preti e vescovi
che muoiono, ci sono tanti fedeli. Purtroppo, per un cristiano vivere a Mossul, oggi,
è un martirio quotidiano, anche se non si è uccisi. Il cristiano che vive a Mossul
oggi, chiunque sia, testimonia la sua fede in Gesù Cristo che è un appello all’amore,
alla fraternità, alla convivenza, alla tolleranza, a rifiutare la violenza.
Nella
schiera dei martiri sono molti i “militi ignoti della fede”, perseguitati perchè discepoli
di Cristo e apostoli del Vangelo. “Nella storia della Chiesa – ha detto il Papa all’udienza
generale del 10 gennaio del 2007 – non mancherà mai la passione, la persecuzione…
Ma anche nella nostra vita la Croce diventa benedizione”.