Mons. Sabbah invoca la fine della guerra infinita tra israeliani e palestinesi
“La violenza distrugge e non costruisce”: così si legge nel messaggio per la Pasqua
2008 di mons. Michel Sabbah, Patriarca di Gerusalemme dei Latini. Mons. Sabbah
sottolinea che “israeliani e palestinesi, Stati e individui, dopo decenni e decenni
di conflitto devono capire che gli eserciti non proteggono più i loro popoli, ma piuttosto
li espongono a più violenza, paura, insicurezza”. Fausta Speranza ha chiesto
a mons. Sabbah quale preghiera abbia nel cuore.
R. –
La mia preghiera è stata sempre per la pace e per i due popoli, israeliani e palestinesi.
D.
– Mons. Sabbah, nel suo messaggio di Pasqua parla della prossima conclusione del suo
mandato, dopo il compimento di 75 anni. In questi anni, com’è cambiato il piano politico?
R.
– E’ stato decisivo il fatto che i due popoli si siano messi a parlare l’uno con l’altro,
ma niente è cambiato, siamo rimasti alle trattative tra volontà e desideri di pace
e tra violenza reciproca. Gli israeliani ammazzano i palestinesi, i palestinesi ammazzano
gli israeliani. Ciascuno ha le sue pretese. Gli israeliani si difendono, hanno diritto
alla loro sicurezza, hanno diritto alla legittima difesa del loro popolo. I palestinesi
sono sotto occupazione, invece, ma hanno diritto alla loro libertà e a difendere la
loro libertà. Siamo rimasti in questa logica fino ad oggi.
D.
– Mons. Sabbah, in questi giorni di preparazione alla Pasqua, qual è il sentire dei
cristiani? Ci sono difficoltà oggettive nella preparazione delle celebrazioni?
R.
– I sentimenti dei cristiani sono i sentimenti della vita quotidiana, durante la Pasqua
e tutti i giorni. Sono difficoltà provenienti sempre da questa instabilità politica:
il muro che separa il check-point, la limitazione della libertà di movimento. Questa
settimana abbiamo fatto liste di migliaia di nomi per ottenere i permessi militari,
perchè possano venire a Gerusalemme e prendere parte alle liturgie che si fanno lì.
E gli israeliani danno tutti questi permessi. Noi aspettiamo che arrivi un giorno
in cui non ci sarà bisogno di chiedere un permesso militare per venire a pregare a
Gerusalemme. Comunque, durante la Settimana Santa, le nostre chiese parrocchiali sono
piene di giovani e di anziani.
D. – Parliamo di una
presenza numerica dei cristiani. Negli ultimi venti anni si è passati dal 20 al 2
per cento. Mons. Sabbah che cosa dire a proposito?
R.
– Su questo argomento dico che il nostro numero è la conseguenza di avvenimenti storici,
sociali, di conquistatori che sono venuti e si sono succeduti in questa terra, ma
principalmente questo piccolo numero è legato specialmente al mistero di Gesù in questa
terra. Gesù è venuto 2000 anni fa ed è rimasto anche lui stesso con un piccolo numero,
il gruppo dei discepoli della prima comunità cristiana che ha creduto. Perchè il fondo
del mistero è che Gesù è venuto nella sua terra e non è stato riconosciuto nella sua
terra. E’ riconosciuto oggi nel mondo, ma qui 2000 anni dopo rimane nella stessa situazione
di non essere riconosciuto. Il nostro piccolo numero significa proprio questo non
riconoscimento e significa che abbiamo una vocazione speciale, quella di essere testimoni
di Gesù nella sua terra. Adesso la gente continua ad emigrare, tutti emigrano, musulmani,
ebrei ed anche cristiani. Le nostre cifre rimangono stabili, ma la proporzione cambia.
Se avremo la pace e la stabilità, alcuni o tanti ritorneranno e altri non emigreranno
più, ma ci sono già alcune famiglie – ne conosco almeno due o tre – che avevano buoni
lavori, vivevano in America del Nord, che sono tornate convinte di dover essere cristiani
nella loro terra.