2008-03-17 13:14:56

Benedetto XVI alla Messa in suffragio di mons. Rahho: la sua morte ispiri agli iracheni di buona volontà, cristiani e musulmani, la volontà di vivere in pace e giustizia


“Un uomo di pace e di dialogo” tra i cristiani e i musulmani del suo Paese, condannato a una fine “disumana”, seguita da una “indegna sepoltura”. Con parole di intensa partecipazione, Benedetto XVI ha iniziato oggi la sua giornata nel ricordo dell’arcivescovo caldeo ucciso a Mossul, Paulos Faraj Rahho. Celebrandone la Messa di suffragio nella cappella “Redemptoris Mater”, in Vaticano, il Papa ha avuto a più riprese parole di solidarietà verso l’Iraq. L’esempio di mons. Rahho, ha auspicato alla fine, possa “sostenere tutti gli iracheni di buona volontà” nella costruzione di una nazione pacifica e solidale. La cronaca della celebrazione nel servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3


Il compianto per la morte di un uomo giusto e la consapevolezza, dettata dalla fede, che in questa morte vi sia il seme e l’esempio perché cristiani e musulmani riescano infine a costruire, in Iraq, una convivenza “fondata sulla fratellanza umana e sul rispetto reciproco”. E’ il pensiero di suffragio che Benedetto XVI dedica a mons. Paulos Faraj Rahho, vittima inerme di una violenza che - per la coincidenza dei tempi - non può non rinviare il pensiero a una morte e a un calvario più antichi di duemila anni.

 
(canto)

 
Le note della liturgia orientale, fanno da sfondo alla voce del Papa che è commossa, addolorata. Pronuncia le parole dell’omelia evidentemente rattristato da una vicenda che l’ha colpito nel profondo del cuore per la sua crudeltà: mons. Rahho, un uomo che guidava una comunità cattolica in Iraq nel segno della gioia e della carità - le due parole che danno il nome all’associazione da lui fondata per l’aiuto ai portatori di handicap - brutalizzato da un rapimento e da una morte culminata nel supremo e immeritato oltraggio di una “tomba” scavata nella spazzatura. Il Vangelo della Messa di questa mattina, con l’episodio di Maria di Betania che unge i piedi a Gesù con olio profumato, ha suggerito al Papa questo parallelo:

 
“Penso al sacro Crisma, che unse la fronte di mons. Rahho nel momento del suo Battesimo e della sua Cresima; che gli unse le mani nel giorno dell’ordinazione sacerdotale, e poi ancora il capo e le mani quando fu consacrato vescovo. Ma penso anche alle tante 'unzioni' di affetto filiale, di amicizia spirituale, di devozione che i suoi fedeli riservavano alla sua persona, e che l’hanno accompagnato nelle ore terribili del rapimento e della dolorosa prigionia - dove giunse forse già ferito -, fino all’agonia e alla morte. Fino a quella indegna sepoltura, dove poi sono state ritrovate le sue spoglie mortali”.

 
Con nel cuore il mistero del dolore della Settimana Santa, a Benedetto XVI è venuto spontaneo paragonare le sofferenze patite da mons. Rahho al supplizio subito dal “Servo sofferente” descritto nella liturgia dal profeta Isaia, tanto misterioso nella sua identità quanto simile in tutto al Cristo della Passione. Il Servo, ha osservato il Papa, è presentato come colui che porterà, proclamerà, stabilirà il diritto: tre verbi la cui “insistenza”, ha detto, “non può passare inosservata”. E il Servo che - ha proseguito Benedetto XVI - “realizzerà questa missione universale con la forza non violenta della verità” prefigura Gesù che, pure “di fronte a un’ingiusta condanna, rende testimonianza alla verità, rimanendo fedele alla legge dell’amore”:

 
“Su questa stessa via, mons. Rahho ha preso la sua croce e ha seguito il Signore Gesù, e così ha contribuito a portare il diritto nel suo martoriato Paese e nel mondo intero, rendendo testimonianza alla verità. Egli è stato un uomo di pace e di dialogo. So che egli aveva una predilezione particolare per i poveri e i portatori di handicap, per la cui assistenza fisica e psichica aveva dato vita ad una speciale associazione, denominata Gioia e Carità (“Farah wa Mahabba”), alla quale aveva affidato il compito di valorizzare tali persone e di sostenerne le famiglie, molte delle quali avevano imparato da lui a non nascondere tali congiunti e a vedere Cristo in essi. Possa il suo esempio sostenere tutti gli iracheni di buona volontà, cristiani e musulmani, a costruire una convivenza pacifica, fondata sulla fratellanza umana e sul rispetto reciproco”.

 
Questo appello del Papa - dopo quello di ieri all’Angelus, molto apprezzato dalla comunità cattolica locale, come ha confermato oggi l’ausiliare di Baghdad, Shlemon Warduni - segue il primo che aveva aperto l’omelia, quando Benedetto XVI aveva invitato gli iracheni a non “perdersi d’animo”, e ne precede di poco un altro, ancora dedicato a mons. Rahho e alla speranza che specialmente i cristiani del Paese siano i primi a credere in “un futuro migliore” per l’Iraq:

 
“Come l’amato arcivescovo Paulos si spese senza riserve a servizio del suo popolo, così i suoi cristiani sappiano perseverare nell’impegno della costruzione di una società pacifica e solidale sulla via del progresso e della pace”.

 
(canto)







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